di Alessandro Lauro

Con l’elezione della nuova segretaria del Pd, si spera che inizino a cambiare anche le parole dell’agenda politica. In modo particolare, resta urgentissimo a mio parere mettere mano al così detto “salario minimo”, terminologia che non amo molto. Lo chiamerei di più salario di dignità o salario giusto, oppure di salario di base.

Senza scomodare il trito e ritrito Moretti, resta l’importanza della scelta delle parole e dei temi. Ad oggi chi ha sostenuto con forza una forma di tutela minima per i lavoratori è stato Potere al Popolo prima, e poi Unione Popolare e al seguito il M5S. Con una differenza sostanziale: i primi hanno chiesto e chiedono almeno 10 euro lordi di salario, i secondi parlano di 9 euro. Possono sembrare sottigliezze ma non lo sono.

Perché auspico che, con la nuova segretaria, questo tema entri finalmente di diritto nei dibattiti di Parlamento e società civile? Non sono un elettore Pd, ma va riconosciuto che ha una potente cassa di risonanza rispetto ad Unione Popolare e M5S, per motivi diversi che non sto qui ad analizzare. Quello che è fondamentale è riappropriarsi in modo conscio e sistematico della terminologia politica, imponendo nuovi schemi mentali e quindi anche un’agenda politica diversa.

Fino ad oggi si è stati troppo timidi sulla questione salari. Si è cercato più di essere dalla parte destruens che da quella propositiva. Va bene l’analisi storica e sociologica ma adesso occorre anche la parte costruttiva. E questa parte, oltre che avere una proposta sul “come” realizzare questo, deve mettere in conto di trovare le parole giuste per poterla comunicare alla popolazione tutta.

George Lakoff, geniale linguista americano, direbbe che bisogna riappropriarsi di un “frame” politico e farlo passare nelle menti della società civile e renderlo operativo politicamente. Come le destre sono state falsamente astute nel far passare il reddito di cittadinanza come il salario per i fannulloni, così le forze di opposizione devono riappropriarsi di una battaglia di civiltà fondamentale per la società italiana: la dignità salariale.

Non amo la parola “minimo” perché richiama alla mente uno schema di piccolezza, restrizione, timidezza. Quasi una concessione che i padroni concedono agli schiavi. Qui non parliamo di concessioni ma di diritti frutto di duro lavoro. Qui non solo non bisogna essere timidi nel chiedere dignità, ma bisogna anche osare la libertà di pensare in grande, cioè di pensare al futuro per intere famiglie.

Ad oggi Potere al Popolo ha investito tempo ed energie enormi per portare avanti queste iniziative. Ora serve unire le forze di opposizione per rendere fattive queste istanze: un salario di base, che ridia dignità alle persone e soprattutto ossigeno per vivere, è un’azione di libertà che non va mendicata ma esercitata ogni giorno.

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