Un nome nuovo, importi più bassi per gli occupabili, stretta sull’Isee per chiederlo e una definizione di “offerta congrua” ancora tutta da chiarire. Prende forma la pesante rimodulazione del Reddito di cittadinanza che cambierà nome, a partire da settembre. Si chiamerà Mia (acronimo di Misura di inclusione attiva) e – secondo le bozze di lavoro del governo – garantirà un assegno mensile di massimo 375 euro per gli occupabili e di 500 euro per i non occupabili, con quest’ultimi che potranno vedere lievitare ulteriormente la cifra con un contributo per l’affitto. I testi approntati dal ministero del Lavoro guidato da Marina Calderone sono passati – secondo il Corriere della Sera – al ministero dell’Economia (il quale smentisce) che ne dovrà valutare la fattibilità economica, aspetto che non esclude quindi un giro di vite ancora più stringere sulla misura bandiera dei Cinque Stelle che ha dato una mano a migliaia di famiglie negli ultimi tre anni complice la pandemia. Il decreto legge, secondo quanto trapela, è composto da 12 articoli e potrebbe approdare in Consiglio dei ministri nel giro di due-tre settimane. Solo nel pomeriggio il ministero del Lavoro in una nota ha chiarito che si tratta solamente di una prima bozza e che la materia necessita ancora “di un approfondito confronto tecnico“.

“In merito alle indiscrezioni giornalistiche sulla revisione del reddito di cittadinanza, si precisa che il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è al lavoro per portare il provvedimento all’esame del consiglio dei ministri. Si tratta di una materia che necessita di un approfondito confronto tecnico con altri ministeri, le regioni, i comuni e gli enti competenti e che non permette, ad oggi, di considerare un primo draft dell’intervento normativo come valido testo di riferimento per la riforma”, spiega il dicastero diretto da Calderone. Secondo quanto trapelato, la Mia dovrebbe entrare in funzione da settembre, dopo i sette mesi di proroga del Reddito di cittadinanza. Questo lo schema base: le famiglie in difficoltà “non occupabili” – quindi con minorenni, over 60 o disabili – e quelle con “occupabili”, ovvero con un componente che abbia tra i 18 e i 60 anni d’età, che si stima siano circa 400mila. Nel caso di “occupabili”, la Misura di inclusione attiva durerà di meno e avrà un importo più basso: l’assegno base sarà ridotto a 375 euro e verrà erogato al massimo per un anno, inoltre la domanda potrà essere presentata dopo sei mesi di pausa e per un’eventuale terza domanda dovranno passare ben 18 mesi. Una stretta molto forte, quindi. Per i “non occupabili”, invece, l’importo resterà di 500 euro, come adesso, ed è possibile che venga inserito un contributo extra se il beneficiario deve pagare l’affitto, che ora prevede fino 280 euro al mese. Per i nuclei più svantaggiati la durata resterà di 18 mesi e alla scadenza del periodo, dopo un mese di stop, potranno richiedere il reddito ma la durata calerà a un anno.

Una novità importante è legata al tetto massimo dell’Isee per poter fare domanda che dovrebbe essere tagliato, scendendo da 9.360 a 7.200 euro, con l’effetto – secondo il Corriere della Sera, che ha anticipato le bozze – di tagliare la platea di beneficiari di circa un terzo. Rispetto al Reddito è prevista anche una correzione della “scala di equivalenza”, che modulerà l’importo in maniera diversa andando a privilegiare i nuclei familiari più numerosi. E sarà rivista – andando incontro a Bruxelles – anche la norma che finora prevedeva la possibilità di accedere alla misura solo per chi risiede in Italia da almeno da 10 anni: un tetto che sarà dimezzato, scendendo a 5 anni.

Il nuovo sistema dovrebbe essere pensato per spingere le persone quanto più possibile a cercarsi un lavoro estendendo la possibilità di mantenere l’assegno a fronte di retribuzioni fino a 3mila euro l’anno a tutti i tipi di lavoro dipendente. Resta nebulosa la formulazione dell’offerta ritenuta “congrua” che non potrà essere rifiutata, pena la decadenza del nuovo Reddito: verrà definita “congrua” se in linea con la profilazione della persona occupabile e se la sede di lavoro sarà nella provincia di residenza o nelle province confinanti, nonché se il contratto dura più di 30 giorni. Resta da chiarire anche come verrà affrontato l’altro nodo critico, quello legato alla formazione per il reinserimento lavorativo dei percettori.

All’obbligo di partecipazione attiva, formazione e lavoro nel nuovo sussidio contro la povertà – se non impegnati in un percorso di studi – saranno tenuti anche i minorenni con almeno 16 anni saranno tenuti. Si nella bozza infatti che sono tenuti a questo obbligo “tutti i componenti il nucleo familiare maggiorenni ovvero minorenni che abbiano adempiuto agli obblighi scolastici”. Sono esclusi invece i beneficiari over 60, nonché i componenti con disabilità. Possono essere esonerati dall’obbligo i componenti con carichi di cura, cioè chi ha figli minori di 3 anni di età o disabili in condizioni di gravità.

Tra le prime reazioni c’è stata quella di Pasquale Tridico, presidente dell’Inps: “Per i cosiddetti non occupabili cambia poco, il reddito di cittadinanza si conferma essere fondamentale come contrasto alla povertà. C’era da fare un lavoro sulle politiche attive, su tutto ciò che c’è attorno alla misura e questo mi sembra che vada nella giusta direzione”. Il numero uno dell’Istituto nazionale di previdenza sociale sottolinea a 24 Mattino su Radio 24: “Noi abbiamo tanti inattivi e abbiamo progetti di inclusione che spesso non vengono svolti da Comuni e centri per l’impiego, qui mi sembra che ci sia una spinta molto forte in questa direzione”. Il reddito minimo, rileva Tridico, “è una misura prevista dall’Unione Europea, tutti coloro che stanno al di sotto di una certa soglia devono avere un reddito. L’Italia dovrà fare i conti con le direttive della Commissione Europea sul reddito minimo, consentire a coloro che pur non trovando il lavoro perdono il reddito. Mi sembra effettivamente una grande criticità”.

Un “giudizio non positivo” arriva anche dalla Cgil che esprime “preoccupazione e perplessità” spiegando di non condividerne “il metodo e il merito”, spiega la segretaria confederale Daniela Barbaresi . “Non siamo stati chiamati su una partita importante che richiederebbe un confronto approfondito. Siamo in una situazione delicata con l’inflazione che avanza e colpisce soprattutto le famiglie in una situazione di povertà, il tema è prioritario. Quanto al merito – prosegue – la povertà è un fenomeno complesso, non basta la presa in carico dal punto di vista economico. C’è il disagio abitativo, la povertà educativa, ci vuole una presa in carico complessiva. Andrebbe poi chiarito l’aspetto economico”.

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