Il monologo di Chiara Francini, dal palco di Sanremo, sulla scelta di essere o non essere madre, ha mosso reazioni di pancia sulla maternità, un nodo che il femminismo non ha sciolto e che resta una possibilità con la quale moltissime donne, prima o poi, si trovano a fare i conti.

La riflessione dell’attrice fiorentina sulla maternità, tra invidia, paura e desiderio, indica il solco scavato nella vita di ognuna di noi, dalla scelta di mettere o non mettere al mondo nuove vite. Le donne si rispecchiano le une nelle altre, guardando a ciò che hanno perduto o conquistato con o senza la maternità, attraversate da dubbi, e se penso alla mia esperienza personale, mi sono trascinata nel dubbio di essere madre quasi fino al limite biologico.

La maternità è arrivata quasi per caso, accolta con gioia senza essere stata programmata. Durante i primi mesi di gravidanza, prima di addormentarmi, fantasticavo di una me stessa senza figli e immaginavo come sarebbe andata avanti la mia vita senza quell’imprevisto della maternità, come avrei vissuto senza un’esperienza che avrebbe condizionato le mie scelte, modificato il mio corpo, dettato ritmi, e imposto una riorganizzazione di spazi sia interiori che esterni.

Tra nausee ed ecografie, ogni tanto vedevo un’amica che fin dai tempi del liceo aveva le idee chiare: non voleva avere figli. E così è stato senza rimpianti. Lei guardando la mia pancia che cresceva, veniva sfiorata dal dubbio mentre io, ascoltando del suo imminente e inaspettato viaggio all’estero, ero attraversata dalla paura di un cambiamento irreversibile che avrebbe rivoluzionato la mia vita.

Non siamo preparate ad affrontare il desiderio di figli come una scelta. La maternità è stata un destino per millenni, e non di rado è stata anche una maledizione, solo da poche generazioni possiamo scegliere. Quante, due, tre? A quali risorse possiamo attingere per fronteggiare il peso di questa scelta, oggi?

Non trovo convincente la denuncia di una ipotetica pressione sociale sulla maternità come un dovere. Leggo, stupita, le interviste a giovani attrici che rivendicano di rifiutare la maternità come se fosse la più grande delle trasgressioni. Mi sembrano come quei soldati giapponesi rimasti a presidiare fortini in alcune isole del Pacifico anche se la Seconda guerra mondiale era finita da un pezzo e il fronte si era spostato altrove.

Ogni volta che sento parlare di pressioni sociali sul dovere della maternità penso ‘ecco una merda di elefante’ ricordando le parole di un terapeuta che, durate un seminario di Biosistemica, classificava gli alibi che i/le pazienti si costruivano nel suo studio per sottrarsi alla responsabilità di treni persi o presi al volo, attribuendone la colpa allo Stato o alla società.

È anche vero che dobbiamo fare i conti con noi stesse ma anche con la realtà. Il dato della crescita demografica pari a zero ci dice, al contrario, che la narrazione sulla pressione sociale affinché le donne siano madri, non è realistica.

Da almeno 20 anni, non ci sono politiche a sostegno della maternità, non se ne occupa la destra e tantomeno la sinistra, e le madri devono affrontare i problemi nel loro privato. Altre, spaventate dalle difficoltà che dovrebbero affrontare, rinunciano. E’ diventato un lusso anche chiedersi se da qualche parte, in qualche sogno, ci sia quel desiderio nascosto.

Le leggi varate in molti Paesi sui congedi di maternità e paternità obbligatori, di pari durata e non cedibili, che hanno contribuito a distribuire con maggiore equità il lavoro di cura tra uomini e donne, in Italia, sono un miraggio. Risibili i 10 giorni obbligatori recentemente introdotti salvo un giorno in più, facoltativo, che però viene sottratto al congedo materno.

Al contrario sono granitiche realtà: il precariato, l’abbattimento dei diritti delle madri lavoratrici, il licenziamento e le dimissioni in bianco, e ancora, la penuria di posti negli asili nido, il mobbing nelle aziende che vessano le madri quando chiedono orari flessibili o pregano di essere sollevate da turni che mal si conciliano con l’accudimento.

Nei tribunali civili, durante le separazioni, si disprezza e si svilisce il lavoro di cura come se fosse un periodo parassitario nella vita di una donna e non se ne riconosce il valore economico e sociale. Questo Paese è ossessionato dall’odio e dalla devozione per la figura materna, percepita come onnipotente e infinitamente sacrificabile in un’ambivalenza che schiaccia le donne. La madre tutto deve, tutto può dare, come se avesse risorse infinite e nulla deve chiedere, così scompare dalla dimensione sociale e politica.

Divenire madre è una una scommessa che può portare a impoverimento, dipendenza economica dal partner, rinuncia a professioni sognate fin da bambine, esclusione e solitudine.

Ma il restringimento di una possibilità di scelta non si affronta limitando altre possibilità di scelta. Mi riferisco agli attacchi alla legge 194 sull’interruzione volontaria della gravidanza, giustificata, strumentalmente, come la causa del calo demografico del Paese e mi riferisco anche alle manipolazioni della presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che vuole dare alle donne la “libertà di non abortire”. Coloro che vivono difficoltà economiche non possono affrontare la maternità con dei bonus una tantum, gli assegni famigliari, qualche pacco di pannolini e confezioni di latte in polvere, devono avere un futuro e sapere che potranno averlo i figli che metteranno al mondo.

La politica ha il compito di dare delle risposte alle donne, lasciando che siano loro ad aprire la porta su una possibilità che muove dal desiderio per fare una scelta che si gioca tra libertà, realtà e necessità.

@nadiesdaa

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