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Accuse all’ad di Acea Palermo anche da un ex lavoratrice di Cassa Depositi e Prestiti: “Non voleva vedermi perché ero grassa”

Un'ex addetta alla sicurezza del braccio finanziario dello Stato si confida con Repubblica confermando la denuncia delle dipendenti della società del Comune di Roma alla guida della quale il manager è stato recentemente traghettato
Accuse all’ad di Acea Palermo anche da un ex lavoratrice di Cassa Depositi e Prestiti: “Non voleva vedermi perché ero grassa”
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“Palermo non voleva assolutamente vedermi. Perché ero grassa. Il suo canone estetico era quello delle fotomodelle ed è stato chiesto a un’ulteriore agenzia esterna di fornire ragazze di bell’aspetto”. Dopo le accuse delle hostess della multiutility capitolina che fa capo al Comune di Roma, al gruppo Caltagirone e ai francesi di Suez, a denunciare l’amministratore delegato di Acea, ora, è una ex lavoratrice della Cassa Depositi e Prestiti, il braccio finanziario dello Stato italiano che l’attuale numero uno della società romana della luce e dell’acqua ha guidato dal 2018 al 2021 grazie a una nomina che aveva suscitato non pochi malumori proprio per il suo carattere notoriamente “spigoloso”.

La lavoratrice, che si è confidata con Repubblica, era un’addetta alla sicurezza assunta dal Gruppo servizi associati. “Dovevamo denunciare tutto anni fa. Quando Fabrizio Palermo era alla guida di Cassa Depositi e Prestiti avremmo dovuto ribellarci, ma non abbiamo avuto il coraggio. In Acea lo hanno avuto e adesso l’ho trovato anche io, per solidarietà tra donne e perché devo raccontare cosa è successo”, ha vuotato il sacco con il quotidiano della famiglia Agnelli, che ha pubblicato la notizia nella pagina delle cronache romane.

“Palermo di persona non ci ha mai detto nulla, si limitava a guardarci in maniera giudicante. Si interfacciava con la sua assistente che era alla direzione del Cerimoniale e si occupava anche dell’aspetto che dovevamo avere noi operatrici. Lei parlava con i nostri referenti interni che poi ci riportavano tutte le richieste”, ha spiegato raccontando che “una volta il mio capo mi ha spostato dalla reception al servizio di accompagnamento. Da lì si è scatenata la bufera: mi hanno detto che dovevo stare esclusivamente seduta in modo che mi vedessero solo dalle spalle in su. Per un anno ho lavorato nel terrore. Sapendo che Palermo non poteva vedermi evitavo di alzarmi anche per andare in bagno. Ho avuto la cistite più volte. Poi mi hanno messo al back office e infine fatta andare in un’altra sede”. Un’esperienza che non ha certo giovato all’equilibrio psicofisico della signora che da sempre soffriva di bulimia e che ne ha perso in salute con ricadute, ansia, stress.

Confermate, poi, le richieste gastronomiche extramansioniario. “Quando Palermo voleva la macedonia bisognava prepararla sistemando la frutta in maniera simmetrica. Non avevamo nessun attestato per la somministrazione di cibo e bevande ed è anche successo che qualcuna si facesse male con un coltello, ma c’era la paura di denunciare l’accaduto all’Inail. Ad un collega della sicurezza è stato fatto fare un corso da cameriere e quando c’erano i pranzi istituzionali doveva mettersi la livrea per servire Palermo e i suoi ospiti”, ha raccontato ancora la donna aggiungendo che nel corso dell’incarico era stato imposto alle addette alla sicurezza di indossare delle décolleté a punta. “Una tortura: mentre accompagnavo un ospite al primo piano sono cascata di faccia sulle scale. Altre colleghe hanno avuto degli incidenti a causa delle scarpe e in quel caso abbiamo messo in mezzo i sindacati a cui abbiamo fatto vedere le ginocchia distrutte”, è il racconto.

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