Michele Capozzi, regista, pornologo e tante, proprio tante, altre cose, ci ha lasciato il 10 gennaio scorso a 77 anni. Forse il suo nome non dirà molto a chi non abbia frequentato la Genova e la New York underground. Genova: sì esiste, o è esistita, anche una Genova underground, quella delle tante ballate di Fabrizio De André, delle puttane, dei trans, dei border-line, di coloro che don Andrea Gallo, il fondatore della Comunità di San Benedetto, chiamava affettuosamente “i miei emarginati, quelli che ascoltando le canzoni di Fabrizio piangevano veramente”. Capozzi li ha rappresentati tutti nelle sue opere.

Grande frequentatore dei caruggi – i vicoli – sin da quando, ragazzo, figlio di una famiglia borghese, si era laureato in Giurisprudenza a Genova. Lo avevano ribattezzato il guru del porno perché fu lui il primo a scriverne con cognizione di causa alla fine degli anni 70 sulla rivista Video, da NYC, dove s’era trasferito poco più che venticinquenne dopo un breve soggiorno nella Swinging London. Guru è una definizione sminuente se appiccicata semplicisticamente a Capozzi, ma assai azzeccata se il termine si intende nel suo significato originale di guida spirituale, maestro di vita. D’altronde, secondo l’interpretazione della tarda Advaya tāraka Upaniṣad, l’antico testo sancrito, il termine guru deriva da gu («oscurità») e ru («svanire») e significa “colui che disperde l’oscurità”. E di oscurità Capozzi ne ha dispersa tanta, con la sua allegria, la sua ironia, il suo profondo senso dell’amicizia, ma soprattutto con i suoi film.

Impossibile stabilire una precisa cronologia di quanto ha fatto il vulcanico Capozzi, sempre a volare fra Italia e Usa, dunque procederò sbandando fra il prima e il dopo partendo da uno dei suoi primi film, girato nel 1982 con Simone di Bagno: T.V. Transvestit, un documentario che scava nel mondo, allora sotterraneo, dei trans. E ci vorranno altri 36 anni prima di tornare sul tema con altrettanta profondità di campo: dovremo aspettare Pose, la serie Netflix di Ryan Murphy sulle ‘ball’ (esibizioni e competizioni coreografiche), già anticipate e registrate da Capozzi nel suo film, esibizionistici tornei musicali fra trans, organizzati segretamente, soprattutto ad Harlem, fin dagli anni 60 fra i membri delle allora emarginate comunità LGBT.

A New York Capozzi ha frequentato la Factory di Andy Warhol, ballava accanto a Diana Ross in Mahogany (’75), era amico di Jean-Michel Basquiat e di Michelangelo Antonioni che, pare, chiamasse Capozzi ‘maestro’ quando lui lo andava a trovare a Roma. Nel ’94 Capozzi è tra i fondatori del Mi-Sex, la prima fiera del sesso.

Le primogeniture sono un altro tratto distintivo di Capozzi, ma anche di chi gli stava vicino, come la ex pornostar Candida Royalle, che per prima produsse film a luci rosse per un pubblico femminile quando la oggi nota regista hard ‘per donne’ Erika Lust era poco più che una adolescente. Personaggio assolutamente eterogeneo, a inizio anni 2000, sempre oscillando fra Usa e Italia, Capozzi collabora con Mike Bongiorno a documentari prodotti dal noto presentatore per Rai 3 e Retequattro. Ma è Pornology N.Y. è il suo film cult: vincitore del premio del pubblico al festival Cinekink di New York nel 2005, è uno spaccato del mondo alternativo e, ancora una volta, underground della Grande Mela prima della svolta puritana del sindaco Rudolph Giuliani. Una NYC che non c’è più, fatta di sesso, simpatia, e personaggi stravaganti. Il film è stato cooptato dal NYC Museum of Sex.

Ci sono state anche collaborazioni tecniche con decine di registi italiani come Roberto Faenza, Marco Leto, Mino Guerrini (ne Il colonnello Buttiglione Capozzi fa una comparsata) e molti altri. E con gli stranieri: da Brian De Palma a Daniel Mann.

C’è poi l’attività ‘capozziana’ di esploratore urbano che Michele ha condotto per anni portando in giro i suoi clienti su una scassatissima Chevrolet (o una vecchia Mercedes) attraverso una New York segreta e inaccessibile senza la sua presenza. Di lui, come esploratore urbano, hanno scritto i maggiori settimanali italiani: L’Europeo, L’Espresso, Panorama, Elle e tanti altri, oltre che tutti i maggiori quotidiani (“Il giro di notte che dura sino al mattino è come una rappresentazione teatrale, o meglio, siccome Michele viene dal cinema, è come girare un film senza mettere la pellicola nella macchina da presa” – L’Unità).

Il suo rientro a Genova, dovuto anche all’età, mai totalmente digerito, l’ha portato alla realizzazione di un docufilm sulla sua città natale: Bollezzume: ancora i vicoli, i personaggi out, la puttane e i trans in versione 2015. La città, però, è cambiata e anche Capozzi è cambiato e, sempre in giro con la sciarpa del Genoa al collo (aveva fondato il Genoa Club NY), non aveva smesso di sognare un ritorno a New York dove aveva sempre abitato su barche, poi più o meno distrutte, ormeggiate sul fiume Hudson e dove invitava gli amici ad assistere ai fantastici tramonti sul fiume. La salute, purtroppo, gliel’ha impedito. E adesso un cinemino genovese, il Gioiello, porterà il suo nome. Un ex cinema porno, ovviamente.

[Nella foto in evidenza Michele Capozzi, a sinistra, e Michele Giordano, autore di questo blog]

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