È così che mi piace immaginarle, Elisabetta II Regina d’Inghilterra e Vivienne Westwood, Dama dell’Impero britannico che da poco ha raggiunto la sovrana, sedute da qualche parte nell’Universo mentre sorseggiano il tè delle cinque e se la ridono ricordando di quando la stilista più irriverente e rivoluzionaria del mondo si presentò a Buckingham Palace e nel far volteggiare la sua gonna vaporosa mostrò a tutti i fotografi assiepati che si era dimenticata di mettere le mutande.

Era il 1992 e la Regina aveva deciso di insignire l’artista ribelle di una onorificenza con cui le riconosceva talento e genialità nell’industria della moda inglese: il Most Excellent Order of the British Empire, un titolo con cui Elisabetta aveva mostrato di non portare rancore nonostante quelle magliette create dalla stilista che la ritraevano con la bocca cucita e tenuta ben chiusa da alcune spille da balia. Vivienne si era recata a corte rispettando l’etichetta senza indossare nulla di eccessivo e stravagante ma, al contrario, sfoggiando un completo grigio composto da un giacchino abbottonatissimo e da una gonna longuette a ruota che però, nell’atto di far roteare davanti alle macchine fotografiche, mostrò la totale assenza di biancheria intima.

D’altronde qualche anno più tardi la stessa Westwood ebbe a confessare ad un giornalista di non essere solita usare gli slip sotto alle gonne ma solo, di tanto in tanto, i boxer di seta del marito sotto i pantaloni. Pare che Elisabetta II in fondo ne rimase divertita, forse invidiando anche un po’ la tempra e l’audacia di una donna che poteva permettersi di dire e di fare quello che voleva. Perché se c’è stata una personalità che nel mondo della moda può essere considerata a tutti gli effetti “rivoluzionaria”, quella è proprio la signora dai capelli rossi che nella storia del fashion system ha saputo meglio di chiunque altro interpretare lo spirito dei tempi e in molti casi anticiparne le tendenze.

Anche se non amava la definizione di “regina del punk”, Vivienne Westwood morta a 81 anni lo scorso 29 dicembre, insieme al secondo marito Malcom McLaren, discografico e artista, nella Londra degli anni Settanta aveva creato uno stile e aperto una boutique che andava oltre la moda dei ragazzi che sfilavano con la cresta in King’s Road ma rappresentava un vero e proprio movimento culturale giovanile di cui il gruppo musicale dei Sex Pistols delle origini incarnava plasticamente l’essenza.

Negli anni a seguire, dopo le spille da balia, le catene, i capi in pelle nera e le t-shirt strappate, la Westwood virò verso lo stile new romantic rivisitando le ampie gonne vittoriane rese vaporose dalle crinoline, i volant e le gorgiere, le scarpe con plateau e tacchi vertiginosi, il tartan e il tweed reinventati, la lingerie indossata sopra gli abiti e i corsetti che tanto piacciono alle nuove generazioni passando anche per gli abiti da sposa di cui il modello più memorabile rimane quello indossato da Sarah Jessica Parker nel film del 2008 che rappresenta il sequel della serie tv Sex and the city.

Ma la Westwood non è stata solo un’instancabile e vorace creativa con la passione per lo studio minuzioso della storia della moda e del costume, è stata anche una fervida attivista che ha partecipato senza remore e timori a cortei e manifestazioni di protesta per l’indipendenza della Scozia, il vegetarianismo, la moda sostenibile, l’affermazione dei diritti civili, la scarcerazione di dissidenti politici, la difesa dell’ambiente contro il surriscaldamento globale.

Celebre è la sua “lettera alla Terra” che aveva letto solo un anno fa in occasione della Cop 26 facendo un accorato appello ai governi e ai potenti del nostro pianeta affinchè si rendessero conto che la parola economia significa gestione domestica, la Terra è la nostra unica casa e senza sostenibilità non c’è futuro.

Mi piace immaginarmele così, Lilibet e Vivienne al tè delle cinque, mentre mangiano scones, ridono e magari sfogliano quella rivista del 1989 che ritraeva in copertina la Westwood con indosso un vestito che doveva essere consegnato a Margareth Thatcher e lo slogan “Un tempo questa donna era punk”.

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