Politica

Un anno di guerra al Reddito di cittadinanza: l’attacco ai poveri da Meloni a Salvini, da Renzi a Schifani. “Soldi rubati da chi non fa una mazza”. Il videoblob

“Arcore dirama il primo comunicato delle brigate ricche: siete poveri? Cazzi vostri”. Era il 5 marzo 1994, poco prima dell’inizio della grandeur berlusconiana, e il settimanale Cuore uscì con questo titolo che sarebbe entrato di diritto negli annali della satira italiana. A distanza di quasi 30 anni, tra redivivi di centrodestra e proclami propagandistici assortiti, possiamo dire con relativa certezza che ben poco sia cambiato sullo scenario politico e sociale. Ma anche facendo finta di non sapere nulla di quello che è successo negli ultimi sei lustri e analizzando con occhio vergine il contundente dibattito sul reddito di cittadinanza, resta impressionante il quasi perfetto combaciamento di opinioni, pensieri e slogan diramati dal centrodestra passato e presente e dalla sedicente “Italia sul serio”.

Da Meloni e Renzi: attacchi al reddito – Ci eravamo lasciati alle spalle il 2021 rintoccato dalle sortite di Giorgia Meloni (“Per me il reddito di cittadinanza è metadone di Stato, mantra che sarà ripetuto nella campagna elettorale primaverile per le amministrative del 2022), di Matteo Renzi (“Oggi c’è il reddito di criminalità che va a quelli che prendono le Ferrari”, “Voglio riaffermare l’idea che la gente deve soffrire (…) Bisogna sudare, i nostri nonni hanno fatto l’Italia spaccandosi la schiena, non prendendo i sussidi dallo Stato) e naturalmente di Matteo Salvini, che solo nell’ultimo anno e mezzo, tra giravolte e invettive, su twitter ha brandito per ben 26 volte la clava dei “furbetti del reddito di cittadinanza”, litania accompagnata quasi sempre a quella sugli immigrati truffatori.

Un anno d’insulti – Il 2022 inizia coi soliti strali di Meloni e di Salvini contro la misura dei 5 Stelle, ormai bollata come una vergogna parassitaria a beneficio di cascami umani truffaldini (“cani e porci, spacciatori e delinquenti”, li definisce Daniela Santanchè a Cartabianca il 24 maggio) e non come un civile strumento di Welfare, che, come ha indicato il rapporto annuale Istat, ha evitato a un milione di persone di trovarsi in condizioni di povertà assoluta. A fine febbraio fanno capolino nell’armata anti-reddito di cittadinanza Matteo Renzi, che propina i suoi soliti claim, e Carlo Calenda, che il 19 febbraio, nel primo congresso nazionale di Azione, tuonerà: “Non si può percepire il Reddito di Cittadinanza senza sapere cosa sia la cittadinanza”. Capolavoro argomentativo che riproporrà il 29 agosto nella trasmissione La corsa al voto (“Il reddito di cittadinanza è una presa in giro perché se si chiama reddito di cittadinanza dovrebbe andare a tutti i cittadini, invece non è così”).

L’idea di La Russa: più armi coi soldi per i poveri – A marzo a spiccare sul campo di battaglia è Ignazio La Russa, che in una intervista al Corriere della Sera, annuncia di aver presentato a Palazzo Madama un ordine del giorno con cui alzare al 2% del Pil le spese militari tagliando il reddito di cittadinanza. La motivazione è presto detta: “Questa norma ha sostenuto anche delinquenti e mafiosi. E le spese in Difesa non sono inutili, ma una necessità”. Ad aprile inizia la stagionale saga dei ristoratori che non trovano lavoratori per colpa del reddito di cittadinanza. Ad aprire le danze è ovviamente Salvini che su twitter posta il solito titolone sull’ammanco di “250mila addetti per l’estate” e qualche giorno dopo a Radio Capital chiede la cancellazione della misura, invocando il ritorno dei voucher, proposta che verrà poi respinta da Mario Draghi. Il 23 settembre il leader della Lega cambierà idea ( “Se vince Salvini – scriverà su twitter parlando di sé in terza persona come Scilipoti e Gesù – si lascia il reddito di cittadinanza a chi non può lavorare. Chi può lavorare, al primo rifiuto perde il reddito”). Il 15 dicembre, ospite dell’assemblea di Confagricoltura, farà un nuovo dietrofront e dirà al pubblico, senza scoppiare a ridere: “Non c’è bisogno di salario minimo o di reddito di cittadinanza, ma di gente che vuole lavorare, che sa lavorare e che ha le capacità di lavorare”.

La linea per nulla retta di Salvini – Il 19 maggio, in un comizio elettorale a Frosinone, Salvini si fa paladino del merito e spiega: “Il concetto di reddito di cittadinanza, che si è trasformato in un reddito di nullafacenza, perché incentiva il lavoro nero e la disoccupazione, non è qualcosa di educativo”. E in un parossismo di sincerità, ammette: “Quando l’abbiamo approvato, sulla carta funzionava. Ma capita nella vita che ti vendano una macchina usata e ti sembra che funzioni da Dio. Poi, se dopo 2 mesi ti accorgi che ti hanno rifilato una sòla, evidentemente non vai avanti come se nulla fosse”. Il problema è che Salvini se n’è accorto dopo 3 anni. A distanza di una settimana, in un comizio a Erba, il capo del Carroccio ripeterà il concetto usando le sue note espressioni: “Quei soldi, rubati da gente che sta a casa a non fare una mazza dalla mattina alla sera, dovrebbero essere dati ai pensionati, ai precari e ai disoccupati veri che vorrebbero andare a lavorare”. Il 30 ottobre sarà ancora più garbato in una intervista a Libero: “Sfiliamo un miliardo ai pigroni del reddito di cittadinanza per darlo ai pensionati“.

Uno, nessuno e centomila: le posizioni di Forza Italia – Grande confusione invece sotto il cielo di Forza Italia. Il 28 maggio, alla presentazione della lista del partito per il Consiglio comunale di Palermo, Schifani attaccherà lancia in resta “i parassiti” del reddito di cittadinanza. In perfetta sintonia Licia Ronzulli, che dal palchetto del partito berlusconiano ammonirà: “Meno reddito di cittadinanza, questa misura mortifica il merito e le competenze. Noi dobbiamo sospendere questa misura fallimentare, almeno in questa stagione estiva”. Il babau del reddito sarà sventolato anche da Antonio Tajani, che il 1 agosto, ai microfoni di 24 Mattino Estate, spiega la posizione di Forza Italia: “Tagliando il reddito di cittadinanza si possono recuperare dai 5 ai 7 miliardi di euro. Si deve ripartire da zero: abolire il reddito di cittadinanza e aiutare chi veramente ha bisogno”. Il gotha di Forza Italia sarà sbugiardato proprio da Silvio Berlusconi in persona che, discostandosi anche dalla posizione degli alleati, prima a Dritto e Rovescio e poi a Porta a porta lancerà il suo contrordine: il reddito di cittadinanza non si cancella, al massimo si modifica. E, come in una commedia francese con Louis de Funès, proprio in presenza di Tajani a un evento elettorale a Napoli dirà: “Noi non vogliamo eliminare il reddito di cittadinanza, come falsamente dicono i nostri avversari. Anzi, vogliamo aumentarlo ed estenderlo a tutti i cittadini che sono nella povertà che nel nostro paese esiste ed è drammatica”. Ai poveri Tajani e Ronzulli toccherà adeguarsi, tanto che la seconda diffonderà sui social un video tutto sbarazzino e rassicurante dove annuncerà: “Non vogliamo affatto eliminare il reddito di cittadinanza. Anzi, pensate un po’, noi lo vogliamo raddoppiare per chi ne ha davvero bisogno perché è inaccettabile vivere con 500 o 600 euro al mese”.

Il body-shaming dei percettori – Nei mesi successivi, oltre all’annuncio roboante di Italia Viva per una raccolta firme finalizzata a cancellare il reddito (iniziativa seguita da un sonoro flop), ai percettori del reddito saranno destinati appellativi quasi sconfinanti nel body-shaming. Si sa, i parassiti sono macilenti e rinsecchiti. E invece questi crapuloni gozzovigliatori che rubano denaro agli onesti guadagnatori di soldi osano esibire la ciccia. Santanchè il 24 maggio, a Non è l’arena, inorridisce dinanzi a un uomo siciliano, padre di famiglia, che da 3 anni prende il reddito, dandogli del “bello e paffuto”. Le fa eco il suo ex socio e amico Flavio Briatore, che ai microfoni di Rtl 102.5, punta il dito contro “i 18enni grandi e grossi che rimangono sul divano e non vanno a lavorare”. “Basta – urla l’imprenditore – Spero che la Meloni si disfi di questo reddito di cittadinanza”. Naturalmente sui social non mancano gli emuli di questi severi precettori della forma fisica, come una instancabile beghina renziana che, commentando le proteste dei percettori del reddito di cittadinanza a Palermo contro il governo Meloni, ha twittato: “Vedere i difensori del RdC in piazza a Palermo belli pasciuti, direi obesi, urlanti contro la sua modifica, temendo di dover mangiare dalla Caritas, sembra un prodotto satirico”. Praticamente una rivisitazione neolib dei “migranti grassottelli e palestrati” di salviniana memoria.

Renzi – Meloni: stesso spartito – Giorgia Meloni, dal suo canto, impegnata nel tour primaverile per le amministrative, ricicla le solite fole sul metadone di Stato, sulla “paghetta” istituzionalizzata (trovata linguistica adottata anche dai renziani come Davide Faraone), sul merito violentato, sui ventenni acciambellati sul divano: una narrazione mainstream che non solo è proposta dal presidente di Confindustria Carlo Bonomi (“Quando cerchiamo i giovani per dargli lavoro abbiamo un grande competitor che è il reddito di cittadinanza”, sentenzia il 30 maggio all’assemblea di Assolombarda a Milano), ma viene mutuata anche da Renzi in modo quasi identico. In pratica, se si ascoltassero gli interventi del leader di Italia Viva e della futura presidente del Consiglio con un disguiser vocale che distorce i suoni, i due sarebbero perfettamente interscambiabili. “Il reddito di cittadinanza è la cosa più incredibilmente diseducativa“, denuncia Renzi il 3 giugno su SkyTg24, dopo averlo già ripetuto in passato su Twitter. “È una misura stupida, controproducente e diseducativa che disincentiva al lavoro. Va abolito“, dice Meloni in una intervista del 30 luglio a Qn. “Il reddito di cittadinanza è una follia“, strepita Renzi su Twitter il 15 maggio. Anche questa è una frase già sentita da Giorgia Meloni (“Il Reddito Di Cittadinanza è una follia grillina che va abolita immediatamente”, scriveva su Twitter il 16 luglio 2021). E ancora: “Il reddito di cittadinanza è stato un fallimento totale” (Giorgia Meloni, in un video pubblicato su Facebook il 17 agosto). “Il reddito di cittadinanza è un fallimento e i responsabili sono Conte, Di Maio, Salvini. Se vi piace, votateli ancora” (Matteo Renzi il 20 settembre ).

La sobrietà di Calenda Spauracchio della ricca compagnia anti-reddito è naturalmente Giuseppe Conte, autore di un “voto di scambio e clientelare” secondo Renzi, Briatore e Stefania Craxi di Forza Italia, che a Coffee break accuserà: “Il reddito di cittadinanza è il più grande voto di scambio della storia della repubblica italiana. Sembrano i pacchi di pasta di Lauro negli anni ’50”. Mentre Renzi va da Ercolano a Lugano col suo jet privato per parlare male del reddito di cittadinanza, il più sobrio Calenda, che considera la misura “una iattura per il Mezzogiorno”, preferisce stare in ciabatte nella sua magione a intasare Twitter coi suoi pensierini. Circa il leader del M5s, a differenza del suo alleato, lui opta per il monito di natura genitoriale, visto che a settembre e a dicembre ha rabbuffato: “Caro Giuseppe Conte, tu non sei il papà del reddito di cittadinanza, perché lo pagano i lavoratori con le loro tasse”. Il 10 settembre, a voler sottolineare le vittime di questi furbastri del reddito che turlupinano i contribuenti, il leader di Azione ha scomodato l’infermiere che prende 1450 euro al mese, giusto per aizzare il già pericoloso conflitto sociale: “Consideriamo immorale che chi può lavorare riceva il reddito di cittadinanza pagato anche con le tasse di quell’infermiere“. Anche tra i due amici ritrovati, però, regna un po’ di confusione. L’11 ottobre su Twitter Calenda, commentando un intervento del senatore M5s Roberto Scarpinato alla Festa del Fatto sul reddito di cittadinanza, lo apostrofa come “signore delirante e bugiardo”, aggiungendo: “È un ex magistrato eletto con i 5S, per fortuna. Rassicurante sapere che non sia più un magistrato”. E mette l’inciso: “Non abbiamo chiesto di cancellare il reddito di cittadinanza”. Evidentemente Calenda si è scordato la raccolta firme di Italia Viva contro il reddito di cittadinanza. Ma, in ogni caso, sarà smentito 19 giorni dopo dallo stesso Renzi, che a Zona bianca dichiarerà: “La presidente Meloni ha promesso di togliere il reddito di cittadinanza e io dico: siccome su questa cosa voto a favore perché sono d’accordo, bene, lo faccia“.

Contro il reddito scende in campo De Luca – Siamo agli sgoccioli della campagna elettorale per le politiche: alla comitiva anti-reddito di cittadinanza si aggiunge, a sorpresa, Vincenzo De Luca che il giorno prima del voto, in piazza del Popolo a Roma, manda a scatafascio la già caracollante reputazione del Pd, definendo il reddito di cittadinanza “una grande truffa e una grande porcheria di clientela politica”. Dal suo canto, l’arrembante destra meloniana continua col suo pomposo pathos del merito, infiocchettato con qualche trovata confindustriale, come è evidente dall’intervista rilasciata dalla leader di Fratelli d’Italia il 12 luglio al Sole 24 Ore (taglio del cuneo fiscale, abolizione del reddito di cittadinanza e “no” allo stop delle auto a benzina dal 2035). Salvini, invece, si arrabatta tra i suoi salti mortali carpiati e le sue contraddizioni: il 19 agosto annuncia il suo proposito di estendere la flat tax a dipendenti, pensionati e famiglie, il che “avrebbe un costo sostanzialmente identico a quello del reddito di cittadinanza”. In realtà, il costo annuale della flat tax della Lega si aggira intorno a una cifra almeno cinque volte superiore alle risorse stanziate per finanziare ogni anno il reddito di cittadinanza. Il 12 settembre ad Agorà si improvvisa ancora matematico col pallottoliere, scomodando la sempre vivida ossessione per i furbastri: “Togliendolo ai furbetti ci paghi due quota 41”. Due mesi dopo, ci riprova: “Tagliamo 1 miliardo al reddito di cittadinanza e usiamolo per quota 102”.

Meloniani contro i divanisti – Accantonata questa breve e febbrile campagna elettorale, arriva a Palazzo Chigi Giorgia Meloni. A far cerchio attorno alla nuova presidente del Consiglio, sono sempre i soliti bodyguard di partito, che non disdegnano ospitate televisive per diffondere il verbo meloniano sui divanisti, sul merito, sul sacrificio, sul lavoro. Innanzitutto si vara una nuova trovata semantica: gli “occupabili”, cioè gli abili al lavoro che a oggi prendono il reddito di cittadinanza. Un artificio linguistico piuttosto inquietante ma coerente col crisma politico della destra contro poveri, perché bolla intere categorie sociali come pezzi da incasellare in un non-luogo (quello del lavoro che secondo il governo verrà creato e che allo stato attuale non c’è o è sottopagato) o come depositi umani inanimati che andranno rieducati e convinti a lavorare o, peggio, come inurbani scemi da “inserire nella società”. Tutto perfettamente in linea con la narrazione della ricchezza che premia i più meritevoli e i più bravi. E se lo dicono i Cresi della politica, nonostante un modesto titolo di studio e zero gavetta, ci crediamo ciecamente. Si passa quindi dal pedagogo Tommaso Foti, capogruppo alla Camera di Fratelli d’Italia (“Per chi può lavorare e ha il reddito di cittadinanza, non ci sarà mai la volontà di riscatto perché l’ozio è il padre di tutti i vizi”, RaiNews, 23 novembre) al nichilista Lucio Malan (“Che succederà ai percettori occupabili del reddito di cittadinanza nel 2023? Perderanno il reddito. Questo è. Tutto ha una fine. Se c’è una fine, una cosa non c’è più“, Omnibus, 1 dicembre).

Così hanno abbattuto il reddito – E si arriva così alla fase finale, quella del sostanziale abbattimento della misura. Ecco le risposte di esponenti del governo alle domande dei giornalisti:
“Andranno in formazione e cercheranno un lavoro. Lei vuole “striminzare” il concetto (Claudio Durigon, sottosegretario leghista al Lavoro, il 22 novembre in un botta e risposta con il giornalista Simone Spetia a Radio24).
Dateci tempo, siamo al governo solo da un mese (Raffaele Fitto, ministro per gli affari europei, le politiche di coesione e il Pnrr, 28 novembre)
Gli daremo la voglia di tornare a lavorare (Ylenja Lucaselli, deputata di Fratelli d’Italia, 2 dicembre a Coffee Break)
“Si presuppone che di qui ad agosto 2023 ci saranno ancora più posti di lavoro, abbiamo anche le grandi aziende come Poste italiane che si apprestano ad assumere qualche migliaio di persone, come portalettere e amministrativi. Sono ovviamente esperimenti, dobbiamo provocare un piccolo trauma. Se le nostre formule saranno efficaci, ci sarà una produzione di posti di lavoro tale da non lasciare a casa nessuno”. (Fabio Rampelli, deputato di Fratelli d’Italia, 5 dicembre a Tagadà). La conseguenza di due anni di attacchi e annunci è cronaca degli ultimi giorni.