Appena arrivata a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni si è calata l’elmetto ed è andata alla battaglia dell’egemonia. Cos’è altrimenti il video in cui celebra la caduta del muro di Berlino? Una battaglia che Meloni conduce nel segno di un complesso di inferiorità atavico, di un desiderio di accreditamento. Del resto, questo tentativo di mobilitazione delle passioni è uno stigma dell’ideologia. Come scrive Carlo Galli in un suo recentissimo e aureo ‘libretto’ – formato agile, contenuto denso – dal titolo Ideologia (il Mulino, Bologna 2022): “L’ideologia vive nella critica e nella crisi, nell’incertezza della verità, e appunto perciò proclama, polemicamente, la propria”.

Perché l’ideologia è un terreno di lotta di cui è signore il polemos eracliteo, ricorda ancora Galli. E se Meloni snocciola in quel video riferimenti confusi (da ex Msi cita Benedetto Croce), occorre ricordare comunque che la comprensione dell’ideologia ha senso se passa per la sua non-liquidazione, ché sarà vero che le ideologie sono sfrante, ma non morte; e che il miglior trucco del diavolo è far credere di non esistere.

A questo proposito, se a destra ci si cala l’elmetto, a sinistra questa battaglia da un lato la si è data storicamente per vinta fino alla permanenza del gramsci-togliattismo, dall’altro si è introiettata l’ideologia neoliberale, che oggi, ricorda Galli, risulta slabbrata ma non è stata sostituita. Non che Meloni non aderisca alla medesima ideologia, la cui essenza sta, ancora con Galli, “nello spostare una quota crescente della ricchezza prodotta dai salari ai profitti”. Ma la destra è ancora doppia: per il mercato interno tenta di creare una propria narrazione vincente, dimenticando opportunamente molti passaggi (si vedano le amnesie selettive di chi ricorda gli errori del socialismo reale agli studenti delle scuole dimenticando pochi giorni prima di scrivere un’analoga missiva sulla marcia su Roma); con l’Europa non ha nessuna intenzione di discostarsi dal diktat del vincolo esterno, che nonostante il folklore sovranista-autarchico è ciò che davvero comanda in Italia.

In altri termini, a sinistra si è sciolta ogni doppiezza, non c’è alcuna discrasia tra contesto interno ed europeo: le due ideologie coincidono, e non ci si vergogna più di aderire pubblicamente al sistema di valori a cui si aderisce in Europa. E un’ideologia bell’e fatta esime, per usare ancora le parole di Galli, dal prendere sul serio la sua pretesa “che l’azione politica debba avere inizio da un’idea, da realizzare polemicamente nella prassi attraverso l’assemblaggio di alcuni concetti”, dacché ce n’è una prêt-à-porter.

Ma allora quali potrebbero essere le ‘ideologie di opposizione’ alternative a quelle che oggi “non paiono capaci di attivare conflitto ed energia morfogenetica, ovvero di orientare le dinamiche del presente con una prassi non episodica ma progettuale, e con una narrazione non balbettante”? Con cosa rispondere alle pretese pedagogico-egemoniche della destra? Dal mio punto di vista, ancora con le ideologie del progresso e dei diritti, quelle che fondano la legittimità dell’azione politica nel futuro e non nel passato. Certo, diritti vuol dire tutti i diritti, che stanno o cadono a seconda che li si consideri orizzontalmente embricati tra di loro, perché i diritti civili e politici senza i diritti sociali a poco valgono, e viceversa. Anche su questo, mi pare salutare la lettura del libro di Galli.

Invece se l’alternativa alla critica della modernità (che voleva dire diritti, libertà, giustizia) è – come qualcuno a sinistra pensa – inseguire la destra sul terreno della mobilitazione irrazionalistica, varranno sempre le parole di Eugenio Garin su Benedetto Croce, che aveva proclamato la morte del socialismo e l’insufficienza della ragione illuministica e aveva così preparato la vittoria di più sanguigne filosofie.

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