Prendete un giovane uomo pieno di vita e sempre sorridente che non sa di essere il protagonista involontario di uno spettacolo in cui tutto appare essere reale ma in verità è una fiction. Non è il Truman Show ma l’ultimo anno di vita di Volodymyr Zelensky che a un certo punto, nei giorni successivi al 24 febbraio, ha davvero rischiato di accomiatarsi con l’iconico saluto: “Casomai non vi rivedessi… buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!”. Per poter preparare le difese dell’Ucraina, invece di istruirlo sul da farsi lo hanno lasciato “recitare dal vivo”. Chi lo ha fatto? Senza dubbio, è stato per sua stessa ammissione Valeriy Zaluzhny, capo delle Forze Armate di Kiev.

Il presidente ucraino e il super-generale non si amano particolarmente e non hanno mai concordato su tutta la linea. Anzi, non hanno mai discusso veramente tutte le mosse e soprattutto non è mai stato il primo a dettare la linea sulla guerra, l’ha solo subita. Certo, il fatto che fra loro non ci sia la complicità che caratterizzò i rapporti fra Abramo Lincoln e Ulisse Grant non vuol dire che il loro rapporto non funzioni o che Zaluzhny miri a sostituirsi al suo superiore: a cercare di mettere in difficoltà il presidente dell’Ucraina sono gli intrighi della classe politica e le “mele marce” del suo entourage, non il capo di Stato Maggiore che lui stesso ha fatto generale a quattro stelle e soprattutto ha posto a capo delle Forze Armate prima ancora che avesse compiuto i 49 anni. Per capirsi, solo gente come Douglas MacArthur è riuscita ad avere carriere così precoci in ambito militare. D’altronde, il nostro aveva alle spalle anni di servizio solo tra le fila dell’esercito ucraino: non aveva fatto a tempo a iscriversi all’accademia militare di Odessa che l’Unione Sovietica si era disintegrata. Insomma, Zaluzhny offriva il vantaggio di non avere camerati amici a Mosca e a Minsk. Anzi, nella sua tesi di laurea aveva analizzato la struttura militare degli Stati Uniti, osservando come le forze ucraine fossero appesantite dal modello sovietico che si basava su un processo decisionale rigido.

Il presidente e il precoce generale avevano cominciato a incontrarsi regolarmente nel 2019, al momento dell’elezione dell’ex comico a capo di Stato, nel pieno della guerra in Donbass. Rendendosi conto di dover informare sull’andamento della guerra una persona completamente digiuna di strategia e tattica militari, che non aveva nemmeno l’esperienza del servizio di leva, il futuro capo delle Forze Armate non insistette nel renderlo partecipe dei processi decisionali, temendo di trovarsi un dilettante alle prese con decisioni difficili per uno stratega. Con sua grande soddisfazione, il militare si trovò assecondato dal suo capo, forse più preoccupato di non fare disastri che di trovare gloria. Dal Donbass all’invasione russa, Zelensky non ha cambiato approccio, evitando di mettere il naso direttamente nelle questioni militari. A ben vedere, è l’esatto opposto di quanto fatto dal suo omologo Vladimir Putin che spesso ha diretto le truppe né più né meno di un alto ufficiale.

Questo strano rapporto fra il leader politico e lo stratega è stato determinante prima e dopo il 24 febbraio. Ai militari faceva comodo dare a bere ai russi il Truman Show di Zelensky. Dopotutto, se a Mosca erano convinti di avere di fronte un leader cocainomane alla guida di una manica di incapaci, perché fargli cambiare idea? Così gli ucraini, agli ordini di Zaluzhny, hanno finto ingenuità e impreparazione, mandando avanti il leader politico e le sue dichiarazioni sinceramente ottimistiche, mentre in realtà ogni uomo e ogni mezzo erano al suo posto, dopo settimane di esercitazioni e di rimproveri da parte dell’esigente generale. Ma non era una messa in scena concordata: Zelensky recitava la vita reale e per questo il suo show era più convincente quando diceva di non credere a un’aggressione russa. Poi, svegliatosi come da un incubo, ha salvato la sua credibilità non fuggendo da Kiev e facendo buon viso al fatto che nessuno gli avesse impedito di fare quel rosario di sbagli, allo scopo di coprire i veri piani di difesa. Dopo sei giorni di guerra, col leader ancora nella capitale, i russi non erano riusciti a conquistare gli aeroporti strategici intorno a Kiev (anzi, avevano visto le loro migliori forze sterminate) ed erano avanzati via terra abbastanza in profondità da iniziare a mettere a dura prova le linee di rifornimento, lasciandole scoperte alle incursioni degli uomini di Zaluzhny.

Intanto, senza che il presidente e i media se ne accorgessero, il generale aveva dato ai suoi l’ordine di essere liberi, se sotto attacco, di rispondere al fuoco alla maniera della Nato, “con qualsiasi arma disponibile”, senza bisogno del permesso dei superiori, mentre i russi hanno sempre impiegato fra 30 minuti e 4 ore per sapere che pesci prendere.

Poi, il militare ha permesso che il presidente e i suoi consiglieri passassero l’estate a pubblicizzare i preparativi per un’operazione su larga scala per riconquistare il territorio nel Sud. Il Cremlino ha abboccato e ha iniziato a riposizionare le truppe, per rafforzare le sue posizioni a Kherson. Quando il 29 agosto l’esercito ucraino ha annunciato l’inizio della tanto attesa offensiva meridionale, sembrava che Mosca stesse per parare il colpo: invece, con una manovra rapidissima e veramente a sorpresa gli ucraini hanno attaccato a nord-est, liberando Izyum e quasi tutta la regione attorno a Kharkiv, ma soprattutto riaprendo i giochi in Donbass. Nascondersi dietro alla loquace ingenuità del leader aveva funzionato ancora.

Così, Zaluzhny ha finito per piantare i paletti anche ai negoziati gestiti dai politici, affermando in una dichiarazione che le Forze Armate intendono combattere finché ne avranno la forza e che il loro obiettivo è liberare tutta la terra ucraina dall’occupazione russa. “Non ci fermeremo su questa strada in nessun caso”, ha concluso. Il discorso non ha fatto rizzare i capelli allo staff del presidente: il generale è ormai un salvatore della patria. E di ottimismo non ne ha nemmeno un po’: ha concluso la sua intervista a Time dicendo che, per come conosce i russi, una vittoria dell’Ucraina nella guerra attuale non sarà definitiva, ma darà solo l’opportunità di prendere fiato e prepararsi per la prossima guerra. Non è dato sapere se Zelensky sia d’accordo, ma lo si capirà presto.

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