di Angelo Lo Verme

L’ombra di Caravaggio, coproduzione italo-francese presentato al Festival del Cinema di Roma il 18 ottobre, è uscito nelle sale cinematografiche il 3 novembre scorso e già è un grande successo di pubblico e di critica. Il quattordici volte regista Michele Placido nel film, insieme a un grande cast, narra la tormentata e complessa esistenza del genio pittorico Michelangelo Merisi da Caravaggio, il piccolo comune bergamasco da cui provenivano i suoi genitori trasferitisi a Milano dove egli nacque, nel settembre del 1571, e dove si formò. Lo stesso Michele Placido veste i panni del Cardinal Francesco Maria del Monte, uomo di cultura e fine appassionato d’arte, mecenate che, incantato dalla pittura di Caravaggio, acquistò e collezionò parecchi suoi quadri.

Riccardo Scamarcio interpreta magistralmente proprio il grande pittore riuscendo a trasmettere tutta la sua passionalità, la sua sensualità, ma anche la sua empatia e sensibilità, la sua pietà nei confronti degli ultimi paradossalmente profondamente religiosa nella sua accezione più spirituale, in contrasto col suo essere esuberante, carnale, perverso, irascibile e rissoso. Carattere che gli causò parecchi guai con la giustizia e con alcuni potenti dell’epoca e lo obbligò a fuggire e a trovare molte volte ospitalità da parte di altri potenti che invece lo ammiravano e amavano.

Egli fu odiato, invidiato e perseguitato, ma anche amato dagli ultimi, ammirato da grandi protettori e imitato da tanti artisti nel suo inconfondibile stile definito, appunto, caravaggesco. Tra la stupenda fotografia del film egli girovaga da Milano a Roma, a Napoli, a Malta, a Siracusa e infine a Porto Ercole, dove presumibilmente trovò la morte, a soli 38 anni, il 18 luglio del 1610; forse per una infezione intestinale trascurata, o forse assassinato da uno dei tanti suoi nemici. Anche se Placido si inventa un finale del tutto inedito, crudo e cruento, concedendosi una legittima licenza artistica e cinematografica considerato il mistero calato sulla sua morte.

La fotografia di Michele D’Attanasio ricrea sapientemente gli ambienti squallidi e miserabili del popolino dell’epoca che soffre e si diverte nel contempo. Vive e muore di stenti e malattie, popolati da prostitute, gaudenti, ladri, assassini e così via. Scene girate nei sotterranei di Caracalla a Roma e a Castel dell’Ovo a Napoli per rappresentare i sotterranei di Malta. Quei colori squallidi e quella luce intensa sembrano voler ricreare i forti chiaroscuri dei dipinti di Michelangelo Merisi, così tanto ossessionato dalla ricerca della verità, i quali dipinti eternano personaggi biblici volutamente dissacrati da modelli appartenenti a quel popolino di strada con cui il pittore vive, si diverte e soffre anche e che abitano i bordelli o la Chiesa di Santa Maria in Vallicella usata da San Filippo Neri (Moni Ovadia) come ritrovo di miserabili e di malati da nutrire e da curare.

Ribelle e anticonformista, dissacrante e irriverente, Caravaggio si oppone al manierismo pittorico costituito da angeli e cieli azzurri ritraendo, appunto, la realtà fatta di oscurità e luce, miseria e nobiltà, profano e sacro e lo stesso contrasto pervade i suoi capolavori: ombre e luce violenta che la fotografia di Michele D’Attanasio riesce a ben ricreare. Non a caso il regista chiama Ombra, l’ombra incombente nei suoi quadri, il personaggio di fantasia interpretato da Louis Garrel, agente segreto del Vaticano inviato da Papa Paolo V a indagare come un’ombra incombente sulla vita di Caravaggio per decidere se concedergli la grazia, essendo stato condannato a morte per decapitazione per avere ucciso Ranuccio Tommasoni, uomo di malaffare e lenone, interpretato dal figlio di Michele Placido, Brenno.

Memorabili le celle sotterranee e il dialogo umanissimo tra Merisi e Giordano Bruno, dove il pittore (Scamarcio) empaticamente prova dolore e dispiacere attraverso un semplice sguardo carico di angoscia e pietà quando i carcerieri vengono a prelevare il frate domenicano.

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