Il numero che potrebbe impensierire il governo di Giorgia Meloni è il diciannove. È questo il totale dei senatori che sono entrati a far parte dell’esecutivo. Ai nove eletti a Palazzo Madama nominati ministri (cioè Elisabetta Casellati, Matteo Salvini, Anna Maria Bernini, Luca Ciriani, Adolfo Urso, Roberto Calderoli, Nello Musumeci, Daniela Santanchè e Paolo Zangrillo) se ne sono infatti aggiunti ben dieci che hanno ottenuto un posto da viceministri o sottosegretari. Due terzi dei 15 che alla vigilia speravano di fare parte dell’esecutivo. Alla fine i premiati sono Isabella Rauti, Andrea Ostellari, Claudio Barbaro, Francesco Paolo Sisto, Patrizio La Pietra, Alessio Butti, Giovanbattista Fazzolari, Claudio Durigon, Lucia Borgonzoni e Alberto Barachini.

Un governo con troppi senatori – In totale, dunque, sono 19 i senatori che facendo parte del governo non parteciparanno molto spesso alle attività d’Aula. E ovviamente ai lavori delle commissioni, dove il governo potrebbe a questo punto rischiare di andare sotto. Col taglio degli eletti, infatti, anche gli organi parlamentari hanno subito una riduzione nei numeri: l’effetto è che anche, soprattutto al Senato, anche l’assenza di un solo parlamentare può cambiare l’esito di una votazione. Bisogna poi considerare il fatto che Ignazio La Russa da presidente non vota per prassi e ovviamente non fa parte di alcuna commissione. E poi che Silvio Berlusconi parteciperà molto raramente ai lavori di Palazzo Madama. Ecco quindi che i voti certi del centrodestra al Senato passano da una maggioranza netta di 115 voti a 93, sotto la soglia di sicurezza di 100 voti e con un margine risicatissimo rispetto ai 90 senatori che non fanno parte della coalizione di governo. Col rischio evidente di trovarsi legati anche alle scelte dei senatori a vita.

Il pallottoliere – Su 206 senatori, infatti, Forza Italia ha eletto 18 persone, Fdi 63, la Lega 29, Noi Moderati 6. Sul fronte opposto, invece, l’opposizione rappresentata dal Pd (38), i 5 stelle (28) e Azione/Italia viva (9) e Verdi/Sinistra (4) ha 79 voti in totale. A questi vanno sommati alcuni senatori a vita (Liliana Segre, Renzo Piano, Mario Monti), la senatrice Dafne Mussolino, eletta con la lista dell’ex sindaco di Messina Cateno De Luca, più gli iscritti al Gruppo Autonomie: sono 11 voti e portano a 90 il totale dei senatori che potenzialmente non voterebbero il sostegno al governo. È vero che molto raramente l’aula è a ranghi completi ed è anche sicuro che nelle votazioni cruciali i capigruppo faranno in modo di avere il massimo numero possibile di senatori. Nell’ordinaria amministrazione, però, il centrodestra rischia seriamente di avere problemi di numeri.

L’alert di Ciriani – D’altra parte che la questione dei voti del Senato potesse rappresentare un problema per la maggioranza lo aveva certificato pure anche Luca Ciriani, ministro dei Rapporti per il Parlamento che nei giorni della fiducia ammetteva di essere un “pochino più preoccupato” per i numeri a Palazzo Madama: “Stiamo cercando un equilibrio. Non è facile. Tutti hanno l’ambizione, qualcuno ha anche il merito, ma non basta”, aveva detto l’esponente di Fdi, che per questo motivo aveva chiesto ai senatori entrati a far parte del governo di non sottrarsi all’aula: “Non ci hanno eletto per fare turismo. Non è automatico che chi è nominato non voti. Ma è ovvio che serva un bilanciamento con i deputati“. In alternativa il governo Meloni è destinato a soffrire.

L’incontro in Toscana – Anche per questo motivo la maggioranza potrebbe cominciare a guardarsi attorno per trovare una stampella. Lo sguardo del centrodestra si sarebbe soffermato sui banchi d’Italia viva, il cui leader ha lanciato segnali di apertura nel suo discorso durante il voto di fiducia. Secondo il quotidiano Il Tempo, infatti, Matteo Renzi avrebbe rivisto Daniela Santanchè. Oggetto del faccia a faccia: la disponibilità da parte d’Italia viva a entrare nel governo di Giorgia Meloni, inizialmente con un appoggio esterno. A raccontare al quotidiano Il Tempo i retroscena di questo faccia a faccia è una fonte del partito dell’ex segretario del Pd. “È stata espressamente chiesta la disponibilità a entrare nel governo inizialmente con un appoggio esterno. Non posso sbilanciarmi oltre, dico solo che la porta non è chiusa e la trattativa potrebbe andare avanti. Chi vivrà vedrà”, dice il renziano anonimo.

La doppia smentita – Già nei giorni in cui La Russa era stato eletto grazie all’aiuto di alcuni senatori dell’opposizione – rimasti senza nome – si era parlato di vari incontri a Milano tra Santanché e Renzi, smentiti dal secondo ma mai dalla neo ministra del Turismo. Un copione che si ripropone anche oggi, visto che l’ufficio stampa di Italia viva “smentisce categoricamente la notizia riportata oggi dal quotidiano Il Tempo di un incontro che si sarebbe tenuto nel weekend fra Renzi e Santanchè: non vi è stato nessun incontro, nè in Toscana nè altrove. L’ultima volta che il senatore e la ministra si sono incrociati è stato in Senato, in occasione del voto di fiducia al Governo Meloni. L’ufficio stampa smentisce altresì categoricamente la possibilità adombrata nell’articolo di un appoggio esterno all’esecutivo”. Il Tempo, però, non aveva parlato di un incontro avvenuto nel week end ma aveva raccontato di un faccia a faccia che si era tenuto genericamente nei giorni scorsi. La notizia di un faccia a faccia, in ogni caso, è stata poi smentita anche dalla ministra del Turismo che l’ha definita “destituita di ogni fondamento”.

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