Giacomo Leopardi era oltre che un grande poeta era anche un filosofo, forse il più grande filosofo del nostro ‘800 e non solo.” Iniziava così, Remo Bodei, il 20 settembre 2008, la lezione magistrale tenuta a Sassuolo, in occasione del Festival della filosofia: con un’affermazione che non andava dimostrata (un dato di fatto), perché ormai evidente a tutti. Eppure, c’è stato un tempo in cui, con Francesco De Sanctis e Benedetto Croce ebbe inizio una tendenza dominante della critica italiana tesa a screditare la filosofia del recanatese.

De Sanctis, anzitutto: quella di Leopardi “non è ancora una filosofia. È il cattivo germoglio della disperazione. La secrezione dell’umor nero. È la sua malattia. Gli mancano le qualità di un ingegno filosofico: la virtù speculativa”.

Croce estremizzerà questa critica, esaltando gli Idilli di Leopardi e svalutando il suo pensiero. Insomma, una stroncatura del Leopardi filosofo. Stroncatura e sottovalutazione da cui è lontano anni luce Remo Bodei – per anni professore alla Scuola Normale Superiore di Pisa – che ha coltivato a lungo l’interesse per il poeta di Recanati e per i suoi temi (il problema del male, l’immagine dell’infinito e del limite, la riflessione sulla natura, il pensiero poetante).

Di Bodei è in libreria, ora, edito da Mimesis, Leopardi e la filosofia, a cura di Gabriella Giglioni e Gaspare Polizzi: testimonianza concreta (contro ogni sottovalutazione) di quanto l’autore de L’Infinito sia importante, per la poesia, certo, ma anche per le acute riflessioni filosofiche. In un testo, apparso la prima volta su MicroMega, inserito in questa racconta di saggi e conferenze, Bodei scrive: “Giacomo ha ben presto condiviso le teorie copernicane. E ha subito lo choc delle deduzioni pascaliane dell’uomo nell’universo”; sebbene l’uomo leopardiano, “rifiutando ogni ‘scommessa’, è destinato al naufragio” (p. 57) da cui si salva con la poesia (“e il naufragar m’è dolce in questo mare”).

Della grandezza filosofica di Leopardi s’accorsero per primi Arthur Schopenhauer e Friedrich Nietzsche. Quest’ultimo ne subisce per alcuni anni il fascino, arrivando a parafrasare – davvero alla lettera – alcuni suoi testi: penso alla II Inattuale e al Canto notturno di un pastore errante dell’Asia; ma anche ai Frammenti postumi 1879-1881 (con richiami a Il sabato del villaggio): “Il pomeriggio del sabato – scrive Nietzsche – si deve passare per un villaggio, se si vuole vedere sui volti dei contadini la vera quiete del dì di festa”. Una parafrasi, appunto. D’altronde, sono molti gli argomenti in comune tra i due filosofi (la filologia, l’amore per la Grecia, le illusioni, la critica alla modernità, il nichilismo, la distruzione delle certezze, la presa di distanza dal cristianesimo) e su ognuno di essi si tratta di capire – entrando nel merito – fino a che punto ci sia un loro comune sentire; quando e perché comincino a emergere le differenze.

Differenze che non manca di sottolineare Bodei: “Leopardi non è un ‘irrazionalista’ – scrive – così come non è neppure strettamente parlando, un ‘nichilista’, nel significato nietzscheano, secondo un accostamento costante, da Adriano Tilgher a Emanuele Severino” (p. 13). Giusto. Aggiungendo però che per Severino, Leopardi comprese (anticipando Nietzsche di 50 anni) che non è la conoscenza vera (l’epistéme) a salvare dall’angoscia: “Ciò che salva – scrive – non è al verità, ma l’illusione: la verità non vede l’Eterno ma il nulla.”

In Leopardi e la filosofia, i temi trattati da Bodei sono molti: l’ultrafilosofia, l’infinito e il sublime, il male, il percepito e l’immaginato e il vulcanismo. Ma cos’è l’ultrafilosofia? Bodei mostra con precisione (e citazioni mirate) che l’autore dello Zibaldone vuole unire ragione e immaginazione, poesia e filosofia: “il pensatore è tenuto a sperimentare passioni e illusioni: chi non ha o non ha mai avuto, immaginazione, sentimento e illusioni vive e grandi, chi non ha mai letto o sentito i poeti, non può assolutamente essere un vero e perfetto filosofo, anzi non sarà mai se non un filosofo dimezzato, di corta vista” (pp. 58-61).

Insomma, l’unità di pensiero e poesia è vitale: l’ultrafilosofia – dice Bodei parafrasando Carl von Clausewitz – è la prosecuzione della filosofia con altri mezzi; della ragione non si può certo fare a meno. La peculiarità di Leopardi sta nell’invitarci, molto prima di altri, a usarla contro l’assolutismo della ragione stessa.

C’è molto altro, naturalmente, in Leopardi e la filosofia: la critica alle “fanfare del progresso” (pp. 46-51); l’esame del “mal che ci fu dato in sorte” (pp. 51-53); l’analisi de L’Infinito (“Oltre la siepe: Leopardi e l’immaginazione”); e un capitolo su “Passione del presente, e deficit di futuro” (pp. 133-145), dove, con l’acume che gli è proprio, Bodei – toccando Theodor Adorno, Eric Hobsbawm, Alexis de Tocqueville – ci dà una lettura del Discorso sopra lo stato presente dei costumi degli italiani che raccomando ai lettori.

La passione civile di Leopardi (la dimensione etico-politica), unita alle sue profonde capacità speculative, ci consegna pagine uniche, utilissime in questo nostro tempo – difficile e tormentato – in cui la società civile ha davvero bisogno di svegliarsi e farsi carico dei bisogni della collettività. Perché questo è il punto: sembra (soprattutto oggi che la destra è tornata al potere) “che la ricerca della felicità individuale si sia ulteriormente staccata da quella della felicità collettiva, che ciascuno voglia pensare, come gli americani ai tempi di Tocqueville, solo ai suoi familiari e amici” (p. 142).

Di più: Leopardi anticipa, con la critica a un certo illuminismo, al “secol superbo e sciocco”, alle “magnifiche sorti e progressive” – l’argomento è assai noto – alcuni temi della scuola di Francoforte e della Dialettica dell’illuminismo. Non è poco; se aggiungiamo che, nelle Operette morali, elabora una visione atea, materialista, lucreziana – “nulla al ver detraendo” – della realtà; e che nella Ginestra, sulla tesi della natura matrigna costruisce un’idea della vita sociale (“la social catena”) che è un appello alla solidarietà tra gli uomini.

Altro che poeta degli idilli! Leopardi è filosofo; che, col “rifiuto di ogni forma di finalismo” (cfr. Dialogo della natura e di un Islandese), si colloca, nonostante le forzature di stampo cattolico, su posizioni nettamente laiche e filosoficamente spinoziane: “Tutte le cause finali – scrive Baruch Spinoza – non sono altro che finzioni umane”.

Grande filosofo dunque Leopardi di cui Bodei sa illuminare gli aspetti più significativi. Ai lettori, adesso, il compito di leggere il suo libro se vorranno passare alcune ore in compagnia di un intellettuale lucido e profondo.

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