Mi sto interrogando come medico clinico sul significato psicologico del rave party. Devo ammettere ed accettare che per età, modello educativo e personalità forse non riuscirò a capire fino in fondo tutte le motivazioni che animano i partecipanti a questi raduni. Voglio comunque provarci, casomai chiedendo indicazioni ai lettori più giovani che vivono sulla loro pelle le vicende di questi ultimi 40 anni.

Il primo elemento che traspare è l’ansia di libertà e ricerca di una felicità momentanea che questi raduni sembrano voler incarnare attraverso il rifiuto di ogni regola. La ricerca di un luogo fuori dagli schemi ove esprimere completamente la parte istintiva di sé stessi emerge anche dal verbo inglese “to rave” che ha diversi significati fra cui entusiasmarsi, delirare, farneticare, infuriarsi, recriminare.

Come affermava Sigmund Freud in un libro Il disagio della civiltà, per vivere in un consesso di altri uomini dobbiamo reprimere costantemente i nostri istinti primordiali e il nostro desiderio di individualità. La civiltà richiede la limitazione della nostra libertà istintuale per permettere appagamenti parziali o differiti.

Se desideriamo avere uno sfogo sessuale lo possiamo fare ma in un luogo idoneo come una camera e con certe regole per non infastidire i vicini. La civiltà in cui viviamo tollera anche che noi “usciamo di testa” ubriacandoci o drogandoci, ma solo se lo facciamo senza determinare scandalo e disagi.

Quindi apparentemente i rave party sono espressione di un anelito di libertà in una società sempre più massimizzante in cui siamo costretti a subire processi di omologazione attraverso la scuola, ove si insegnano certe cose e non altre, i mezzi di comunicazione di massa, in mano agli oligarchi del nostro secolo e la pubblicità che vuole farci diventare “macchine che desiderano, acquistano per poi non essere appagate e infine di nuovo desiderare”.

Ho detto apparentemente perché in realtà, almeno ai miei occhi di sessantenne, che come dicevo forse non può capire, emerge una grande omologazione. I ragazzi che partecipano a questi rave party sembrano a me dei moderni Pinocchio che ricercano il paese dei balocchi. Non si rendono conto che questo paese dei balocchi, ove tutto è lecito e permesso, è una fregatura per omologarli e farli divenire, come nella favola di Carlo Collodi, dei somari da traino asserviti al potere.

Quando ero ragazzo io, i drogati erano persone che imboccavano una via, spesso senza ritorno, di uso continuo di sostanze e allontanamento dalla società produttiva. Ora i drogati, per lo più, sono persone che lavorano tutta la settimana per sballarsi nel week end. La società consumistica li ha inglobati facendoli divenire elementi produttivi che alimentano il commercio della merce droga.

Ritengo che anche i partecipanti ai rave party siano persone inserite socialmente che hanno questa valvola di sfogo per sopportare il peso dell’omologazione. La società consumistica, che loro apparentemente rifiutano, permette questa forma di consumismo momentaneo di droghe, alcol, musica e sesso perché sa che, come in una pentola a pressione, deve esistere una valvola di sfogo.

Il paradosso quindi è che il rave party diviene un componente del modello di omologazione alla società nel momento in cui permette a frange, più o meno grandi, uno sfogo consumistico momentaneo.

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