Per far capire che tira aria di liberi tutti bastano poche frasi. Si picconano anni di sforzo per promuovere i pagamenti tracciabili annunciando un innalzamento del tetto al contante, con la giustificazione che “la Germania non ce l’ha” e “penalizza i più poveri”. Si ufficializza che il nuovo “patto fiscale” tra Stato e cittadini poggerà su estensione della flat tax per gli autonomi, tassa piatta sugli incrementi di reddito e un nuovo condono opportunamente battezzato “tregua“, mentre la lotta all’evasione – nel Paese in cui è notoriamente un fenomeno di massa – si concentrerà su “evasori totali, grandi imprese e grandi frodi sull’Iva”. Si attacca dall’aula del Senato l’Agenzia delle Entrate. Si adotta come motto “non disturbare chi vuole fare”. Il messaggio subliminale nascosto dietro le dichiarazioni programmatiche di Giorgia Meloni è chiarissimo: se molte misure bandiera del centrodestra dovranno attendere causa mancanza di risorse, i piccoli e medi contribuenti saranno in compenso lasciati liberi di (continuare a) sottrarre soldi al fisco.

L’operazione di depotenziamento del contrasto al nero era ovviamente attesa, date le promesse elettorali della nuova maggioranza, e di certo non finisce qui. Giovedì ci ha pensato il ministro Luca Ciriani ad aggiungere un altro tassello, parlando di un “problema di privacy” se i cittadini vengono “tracciati in ogni attività”. Così nel mirino finisce anche il prezioso incrocio tra i dati sui conti correnti contenuti nell’Anagrafe dei rapporti finanziari e le altre informazioni su redditi e patrimoni, che stava partendo proprio ora dopo anni di tira e molla con il Garante. Da vedere se si procederà, come da programma di Fratelli d’Italia, anche all’esonero per i piccoli esercenti dall’obbligo di accettare pagamenti elettronici, in vigore dal 2014 e rafforzato solo pochi mesi fa con le sanzioni per chi lo viola. Il punto è che in questa fase lanciare segnali del genere e varare misure che incoraggiano e giustificano l’evasione dei “piccoli” è una scelta ad altissimo rischio.

In ballo non c’è “solo” il recupero di una parte delle decine di miliardi di gettito perso ogni anno (99 nel 2019, stando all’ultima Relazione sull’economia osservata e l’evasione resa disponibile dal Tesoro). Queste posse possono mettere Roma in rotta di collisione con Bruxelles facendo perdere all’Italia l’accesso ai fondi del Next generation Eu. Il Recovery plan deve infatti, tra il resto, contribuire a realizzare le raccomandazioni-Paese della Commissione europea. Quelle del 2019, esplicitamente citate nel piano, ci chiedevano di “contrastare l’evasione fiscale, in particolare nella forma dell’omessa fatturazione, potenziando i pagamenti elettronici obbligatori anche mediante un abbassamento dei limiti legali per i pagamenti in contanti“. Tra gli obiettivi del Piano è stata quindi inserita la riduzione del tax gap, cioè la differenza tra i soldi che l’erario raccoglierebbe in un mondo di onesti e quello effettivo: dobbiamo farlo scendere entro il 2024 dal 18,5% del 2019 al 15,8%. Se ci riusciremo dipenderà, appunto, dalle misure che il nuovo governo mette in campo (o smonta).

Al momento non è dato sapere se finora ci siamo avvicinati al target: come scritto all’inizio di ottobre dal Fatto quotidiano, il governo Draghi ha deciso per motivi mai chiariti ufficialmente di non pubblicare la Relazione 2022 sull’evasione, che contiene le stime relative al 2020. E in cui la commissione indipendente di esperti presieduta da Alessandro Santoro ha tra l’altro inserito le prime valutazioni sull’effetto della flat tax per le partite Iva con redditi fino a 65mila euro. Tra 2017 e 2019 eravamo andati nella direzione giusta sul fronte del calo del gap Iva – in gran parte per merito di fatturazione elettronica e split payment – ma al contrario era aumentata, toccando addirittura il 69%, la “propensione al gap” degli autonomi. Quelli che secondo Meloni non vanno disturbati.

Da allora sono stati messi in campo dal governo Conte alcuni incentivi ai pagamenti cashless, tra cui il credito di imposta sulle commissioni per i pagamenti elettronici, la lotteria degli scontrini (ancora in vigore) e il cashback poi cancellato da Draghi nell’estate 2021. L’esecutivo guidato dall’ex presidente Bce, che a sua volta aveva esordito a Palazzo Chigi con un condono, per rispettare il cronoprogramma del Recovery ha poi esteso la fatturazione elettronica alle partite Iva in regime forfettario e anticipato da gennaio 2023 a giugno 2022 l’entrata in vigore delle sanzioni per chi non accetta pagamenti con carta. Le Entrate dal canto loro hanno intensificato l’invio delle lettere di compliance per incentivare l’adempimento spontaneo: il Pnrr ne prevede 2,5 milioni entro fine anno, in parallelo con una riduzione di quelle mandate per errore a chi è in regola, con l’obiettivo di raggiungere per questa via i 2,4 miliardi di gettito.

Si tratta di un’architettura già fragile, considerata la persistente carenza di personale dell’Agenzia delle Entrate (troppo poche le assunzioni previste dal Piano), lamancata riforma della riscossione e la decisione di Draghi di soprassedere su diverse misure anti evasione auspicate dal dipartimento Finanze del Tesoro, come la raccolta massiva di informazioni sul web. Gli annunci di Meloni fanno pensare che abbia intenzione di smantellarla. Vero è che in Parlamento non ha detto nulla riguardo al fronte ritenuto cruciale dagli addetti ai lavori, quello che riguarda l’applicazione di strumenti avanzati di analisi dei dati per selezionare i contribuenti a maggior rischio evasione da sottoporre a controlli mirati. Ma come la pensi è ben noto: in più occasioni ha fatto sapere di ritenere i controlli incrociati un “Grande fratello fiscale” da scongiurare. Ora che l’attuazione del Recovery plan è nelle sue mani agirà di conseguenza?

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