“E’ chiaro che lo Stato non ha funzionato, ha permesso l’accumulo di milioni e milioni di cartelle che non si possono esigere: bisogna cambiare qualcosa“. Era il 19 marzo 2021. Il neo premier Mario Draghi in conferenza stampa aveva appena confermato che il primo atto del suo governo, accanto a nuovi aiuti a famiglie e imprese, era stato in effetti un “limitato condono” (16 milioni di cartelle sotto i 5mila euro). Ma, aveva continuato, “per questo nel provvedimento c’è una parte che dice che ci vuole una piccola riforma dei meccanismi di riscossione, di scarico delle cartelle. Senza, di qua a un paio d’anni avremmo avuto di nuovo milioni di cartelle che non si riesce ad esigere”. Sono passati 15 mesi e sta andando proprio così: la riforma non c’è e il “magazzino” dei carichi da riscuotere, cioè le tasse non pagate, si è gonfiato dai 987 miliardi del giugno 2020 a più di 1.100. Che cosa significa continuare a non intervenire l’ha spiegato l’anno scorso il numero uno delle Entrate Ernesto Maria Ruffini: “Se la riscossione non funziona, l’agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza non potranno mai sconfiggere l’evasione fiscale“. Stando al Recovery plan la dobbiamo ridurre del 15% entro il 2026.

Un passo indietro. I contribuenti con debiti di varia natura verso il fisco sono oggi circa 19 milioni. Come lamentato anno dopo anno dalla Corte dei Conti, i tentativi dell’agente della riscossione di farsi pagare le somme di cui ha accertato l’evasione sono allo stato attuale fallimentari. Tra persone che si rendono irreperibili, risultano nullatenenti o non rispondono alle comunicazioni e imprese che falliscono (spesso a bella posta) senza aver versato il dovuto, dopo 10 anni dall’iscrizione a ruolo su 100 euro dovuti ne vengono incassati meno di 15. Dopo 20 anni il riscosso si ferma a meno del 30%. In concreto: sui circa 1.068 miliardi di crediti (al netto di sgravi e sospensioni) affidati all’agente della riscossione tra 2000 e 2020 da Entrate, Inps, Comuni e altri enti, ad oggi stando agli ultimi dati ufficiali ne sono stati incassati 139. Il resto giace nel famigerato magazzino ed è considerato per la stragrande maggioranza ormai non recuperabile. Ma non può essere ufficialmente dichiarato tale a causa di vecchie norme, risalenti a quando la riscossione era affidata ai privati, che consentono di farlo solo dopo aver tentato ogni strada a prescindere da valutazioni sulla possibile efficacia. Così la montagna continua ad ingigantirsi erodendo, lamenta l’agenzia, il tempo e i mezzi a disposizione per occuparsi dei nuovi crediti che si aggiungono anno dopo anno.

Perché, quindi, il governo non si è mosso? Nel decreto Sostegni di marzo 2021, quello con il condono, si prometteva che entro 60 giorni il Tesoro avrebbe mandato alle Camere una relazione con i criteri “per procedere alla revisione del meccanismo di controllo e di discarico dei crediti non riscossi”. La dicitura ha fatto rabbrividire i magistrati contabili: “Lascia trasparire l’obiettivo di realizzare un sistema di discarico automatico delle quote non riscosse dopo il decorso di un
determinato periodo dalla loro presa in carico, nonché una metodologia di gestione dei carichi affidati basata su criteri selettivi“, hanno scritto nel Rapporto 2021 sul coordinamento della finanza pubblica. “Una eventualità da scongiurare, che altererebbe radicalmente il sistema di gestione dei tributi”. Quando il documento (firmato non dal Mef ma da Entrate e Riscossione) è arrivato, a fine luglio, quei timori della Corte dei Conti hanno trovato conferma.

Nella proposta non mancavano indicazioni per aumentare l’efficienza del processo, dal potenziamento dello scambio di dati tra Entrate e Riscossione al prolungamento del termine di efficacia della notifica delle cartelle. Ma per prima cosa si chiedevano non solo la restituzione ai creditori di tutto il pregresso inesigibile ma anche la progressiva cancellazione automatica dei ruoli non riscossi dopo un certo numero di anni, con poche eccezioni (procedure esecutive in corso, accordi di ristrutturazione o rateizzazione). Per il futuro, stessa ipotesi: tagliola al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello dell’affidamento o dell’ultima azione con esiti positivi. Non solo: per i carichi futuri si ventilava un piano annuale di attività da svolgere “per un numero di debitori e di posizioni debitorie adeguato alla capacità operativa” dell’agente della riscossione. Tutte mosse che in un sistema ben funzionante sarebbero sensate, ma se la “macchina” non riesce a starci dietro rischiano di trasformarsi in un condono permanente.

Alla fine, che sia per i dubbi espressi dai guardiani dei conti o per motivi politici, nulla si è mosso. Nella legge di Bilancio per il 2022 qualche novità sulla riscossione c’è, ma si limita alla cancellazione dell’aggio e al passaggio alle Entrate delle funzioni di indirizzo e controllo sulla Riscossione. La vera riforma? Rimandata ai decreti attuativi della delega fiscale appena sbloccata dopo mesi di stallo causa liti nella maggioranza. Il testo non fa cenno alla cancellazione automatica e indica come principi e criteri l’unificazione di Entrate e Riscossione, l’aumento dell’efficienza, la semplificazione, l’orientamento dell’attività verso “obiettivi di risultato piuttosto che di esecuzione del processo”, oltre a prevede che sia favorito l’uso delle nuove tecnologie e del patrimonio informativo. Il problema è che per scrivere i decreti ci sono 18 mesi di tempo. Difficile dire quante siano le chance di riuscirci prima della fine della legislatura.

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