Non ha mostrato alcun segno di pentimento, anzi, a detta dell’avvocato della famiglia di Roberta Siragusa, “ha avuto l’ardire di negare perfino le prove che invece venivano sapientemente raccolte in contraddittorio tra le parti”. Il 21enne Pietro Morreale è stato condannato all’ergastolo dalla corte d’assise di Palermo con l’accusa di aver tramortito e bruciato viva la fidanzata Roberta Siragusa di soli 17 anni. Il delitto fu commesso a Caccamo la notte tra il 23 e il 24 gennaio del 2020 e, all’epoca, il giallo era durato solo pochi giorni: i carabinieri, da subito scettici sulla versione fornita da Morreale, ne disposero il fermo con l’accusa di omicidio pluriaggravato. Contro l’imputato, che mercoledì non era presenta alla lettura del verdetto, decine di indizi: dai 33 episodi violenti commessi contro la vittima nei mesi della loro relazione, a un video che riprese il cadavere bruciare e l’auto di Pietro a poca distanza, alle chiavi e al sangue di Roberta trovate vicino al campo sportivo, dove il corpo fu dato alle fiamme, alle macchie di sangue scoperte nella macchina.

L’agonia di Roberta Siragusa, “andata in onda” a porte chiuse, in un’aula del tribunale di Termini Imerese durante l’incidente probatorio, è stata ripresa da una videocamera di sicurezza e ha raccontato gli ultimi istanti di vita della giovane, divorata viva dalle fiamme per 5 minuti. Pietro avrebbe assistito alla scena in macchina, poi avrebbe caricato il corpo e l’avrebbe buttato in una scarpata nella campagne di Caccamo. Secondo i pm, la coppia, che aveva avuto una lite durante una cena con amici, si sarebbe appartata vicino al campetto da calcio, lì Pietro, che non si rassegnava al fatto che la ragazza volesse lasciarlo, l’ha colpita con un sasso, le ha gettato addosso del liquido infiammabile che teneva in auto e l’ha arsa viva. Poi ha caricato i resti e se ne è disfatto buttandoli in una scarpata. Il giorno dopo fu lui ad andare dai carabinieri raccontando una storia poco credibile: Roberta, dopo la lite, si sarebbe data fuoco e sarebbe caduta nel dirupo. Una versione che, oltre a essere poco verosimile, contrasta col fatto che l’imputato la notte del delitto, dopo aver ricevuto la telefonata dei genitori di Roberta, allarmati perché la figlia non era rientrata, aveva mandato al cellulare della vittima dei messaggi fingendo di non sapere dove fosse andata e dicendosi preoccupato.

Al processo si sono costituti parte civile i genitori, il fratello, la nonna di Roberta e due associazioni antiviolenza. Alla lettura del dispositivo hanno assistito decine di amici della ragazza uccisa. I legali della famiglia della vittima, Simona La Verde, Sergio Burgio, Giovanni Castronovo e Giuseppe Canzone, hanno chiesto alla corte di trasmettere gli atti per eventuali ipotesi di falsa testimonianza nei confronti di diversi testi: secondo i penalisti alcune deposizioni sarebbero contraddittorie e nasconderebbero complicità nel delitto. Pietro Morreale, dicono, non agì da solo. “La sentenza di condanna nei confronti di Pietro Morreale non servirà a riportare in vita Roberta, ma certamente gli renderà giustizia: oggi la Corte di Assise di Palermo ha riconosciuto Pietro Morreale autore dell’efferato omicidio della giovane Roberta. Ci siamo limitati a riportare i fatti dapprima nella fase delle indagini preliminari e successivamente all’interno del processo e, a conclusione di ogni udienza ci rendevamo conto che quello che inizialmente era un sospetto si appalesava sempre di più come una certezza”, ha detto l’avvocato Sergio Burgio, legale dei familiari di Roberta Siragusa.

La corte d’assise che ha condannato all’ergastolo Pietro Morreale ha dichiarato l’imputato interdetto in perpetuo dai pubblici uffici e in stato di interdizione legale per la durata della pena. La corte ha anche condannato il giovane al risarcimento del danno nei confronti della madre Iana Brancato per 225 mila euro, al padre Filippo Siragusa, per 229 mila euro e al fratello Dario, per 209 mila euro e della nonna Maria Barone per 117 mila euro. Pietro Morreale dovrà altresì risarcire il Comune di Caccamo con una provvisionale esecutiva di 15 mila euro. Respinte le richieste di risarcimento da parte di alcune associazioni che si battono contro la violenza sulle donne.

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