Quando ieri sera ho letto il post su Facebook del papà di Alessia Piperno, il sig. Alberto, mi sono subito domandata cosa avesse fatto Alessia tanto da essere arrestata. Ho chiamato suo padre il quale in un messaggio successivo pieno di dolore mi ha scritto: “Alessia non era attiva nelle proteste, Alessia non faceva parte del gruppo che è stato arrestato. Alessia ha paura delle armi e delle lotte” e, quando gli chiedo come mai sua figlia, subito dopo lo scoppio delle rivolte, non si fosse immediatamente recata presso l’ambasciata italiana a Teheran per tornare in Italia, mi ha detto che sua figlia voleva partire.

Alessia affidava il resoconto delle sue giornate in Iran al suo profilo Instagram. In uno dei suoi ultimi post, scrive:

“Per noi viaggiatori, turisti, vacanzieri in terre straniere, è facile giudicare, dire la nostra, restare finché è tutto bello, per poi salire su aereo e andarcene. Eppure per quanto questa possa essere la decisione più saggia da prendere, io non ci riesco. Non riesco ad andarmene da qui, ora più che mai. Qui la gente è stufa di essere un burattino, ecco perché migliaia di persone stanno scendendo nelle piazze a protestare. Stanno manifestando per la loro libertà. Donne, uomini, adolescenti e anziani. E ognuno di loro, ogni singola persona, rischia la propria vita quando va per le strade”.

Dunque Alessia, solidale con quel popolo, aveva deciso di rimanere. Non è ancora noto il motivo dell’arresto ma alle autorità iraniane un post come questo può essere sembrato un invito sovversivo o comunque una chiara posizione nei confronti dei manifestanti.

Pensiamo spesso che solo perché scriviamo in italiano, o perché siamo cittadini non iraniani, di non essere controllati e invece ‘loro’ controllano tutto. Chi scrive è stata più volte minacciata solo per aver postato foto o scritto in solidarietà di donne arrestate in Iran. Ma io ero in Italia mentre Alessia è lì in un paese in rivolta. Che forse in questo momento gioca proprio a suo favore.

Alessia forse ingenuamente non sapeva che scrivere su Instagram o qualsiasi social è comunque una ammissione di intenti. Queste sue dichiarazioni dal regime dittatoriale che vige in Iran (speriamo ancora per poco) possono essere lette come un invito alle proteste.

L’Iran in questo momento – proprio perché a un passo da una guerra civile – utilizza ogni suo mezzo a disposizione per creare disordine e incutere terrore nella popolazione ma anche per mostrare il suo lato più cruento al resto del mondo. Spesso sono i cittadini di doppia nazionalità quelli ad essere più a rischio in quanto l’Iran non riconosce questa ambivalenza. Ma recentemente non sono nemmeno pochi gli esempi di cittadini con passaporto straniero che vengono arrestati. Ovviamente le motivazioni delle condanne spaziano a invenzioni e supposizioni non certificate da alcun scritto.

Durante le proteste antigovernative del 2009 in cui il popolo scese per le strade contro la seconda elezione di Mahamoud Ahmadinejad, avvenne l’arresto di una giovane donna francese Clotilde Reiss arrestata perché sorpresa a fare foto durante le proteste. Il caso divenne mediatico in Francia e solo attraverso un lungo procedimento diplomatico si riuscì a liberarla dietro pagamento di una cauzione. Ricordo esattamente che dovette ammettere le sue colpe e chiedere scusa durante il processo.

Purtroppo il regime in Iran vede complotti e azioni di spionaggio anche quando non ci sono.

Spesso molti degli arrestati iraniani sono stati accusati di essere delle spie quando semplicemente avevano avuto solo rapporti conviviali con stranieri. Il caso che ho sempre raccontato nel mio libro Ti racconto l’Iran I miei anni in terra di Persia è quello di un giovane ragazzo bibliotecario della National Library di Teheran che veniva frequentemente inviato all’estero per creare dei rapporti culturali con altre nazioni. Anche io avevo preso accordi per una serie di convegni su tematiche antropologiche. Questo stesso bibliotecario per ben due anni è stato tenuto in carcere con l’accusa di spionaggio e di aver raccontato cose private agli stranieri, una delle quali ero proprio io.

Per questo, memore di questi fatti, chiedo sempre anche agli iraniani di cancellare tutte le comunicazioni sui social prima che vengano lette dalle autorità.

Nella drammaticità della situazione iraniana, l’unica cosa che depone a favore di Alessia – cosa che ho detto anche al suo papà – è che credo che quel regime sia molto vicino al crollo. Per quello che sappiamo fino ad oggi le accuse per stranieri che fomentano le proteste potrebbero arrivare fino a cinque anni di reclusione, perché accusati di “spionaggio, violenze e attentato alla sicurezza nazionale”. Si può arrivare alla condanna della pena capitale se riconosciuti colpevoli di essere “nemici di Dio”. Non è nemmeno da escludere che questa ragazza possa essere ‘utilizzata’ come merce di scambio in un momento cruciale come quello che la Repubblica Islamica sta vivendo.

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