Nata e scomparsa, ironia della morte, lo stesso giorno, il 29 agosto (1915-1982), Ingrid Bergman ci ha lasciato oggi, ma un oggi di quaranta anni fa. Un po’ come certi pittori, l’attrice ha attraversato sostanzialmente tre periodi artistici: quello svedese, quello hollywoodiano e quello italiano (teatro e breve rentrée americana a parte) per terminare in Svezia con il suo omonimo Ingmar Bergman che la diresse nell’ultimo film della diva (una vera diva, come la conterranea Greta Garbo), ovvero Sonata d’autunno (in Italia uscito con una traduzione-strafalcione: Sinfonia d’autunno), a mio giudizio la miglior prova d’attrice della Bergman, intensa e di una affascinante matura bellezza. Era già malata quando girò Sonata d’autunno e quattro anni dopo morì.

Nel 1933 si era iscritta alla Royal Dramatic Theatre School di Stoccolma, sua città natale, ma Ingrid preferiva il cinema e ottenne una comparsata, senza accredito, in Landskamp (1932) di Gunnar Skoglund, dove si può appena notare nei panni di una ragazzina che fa la coda. Poi un vero ruolo in Munkbrogreven, 1935, (Il conte della città vecchia) dove interpreta Elsa Edlund, la nipote della proprietaria di un hotel. E così via, altri nove film scandinavi fra i quali Intermezzo (1936), che viene visto da David O. Selznick. Il produttore americano decide di non farsi scappare quella fantastica ragazza. La convoca negli Usa e le propone di cambiare nome, migliorare la sua dentatura e attenuare le sopracciglia. Lei rifiuta, minaccia di tornarsene in patria, finché Selznick cede e rifarà, in versione oltreoceano, Intermezzo (1939) diretto da Gregory Ratoff. Accanto a Ingrid ci sarà un pezzo da novanta come Leslie Howard. Bel caratterino, questa svedese ventitreenne.

Due anni prima aveva sposato un neurologo svedese, Petter Lindstrom, che le aveva dato una figlia, Pia. Richiestissima a Hollywood, nel 1941 è al fianco di Spencer Tracy in Il dottor Jekyll e Mr. Hyde di Victor Fleming, facendo ingelosire – secondo il racconto di Katharine Houghton, nipote di Katharine Hepburn – la zia, per via di un’avventura avuta sul set dalla coppia Tracy-Bergman. L’anno successivo Michael Curtiz convoca la Bergman per quello che sarà il suo film-icona, Casablanca, accanto ad Humphrey Bogart, dopo che numerose star candidate erano state escluse (fra le quali, pare, Heddy Lamarr).

Ormai diva hollywoodiana, la Bergman recita accanto a Gary Cooper in Per chi suona la campana (1943), da Hemingway (del quale è buona amica) debuttando nel cinema a colori, anzi in Technicolor; in Io ti salverò (1945) con Gregory Peck, di Alfred Hitchcock che per lei si prese una cotta (beh, il Maestro si prendeva cotte un po’ per tutte le sue attrici…) e bissando con Hitchcock in Notorius (1946), stavolta accanto a Cary Grant; nel 1948 è Giovanna d’Arco nell’omonimo film (1948) di Victor Fleming (dove, con tutto il rispetto per la Bergman, non raggiunge i livelli esteticamente sublimi di Renée Falconetti ne La passione di Giovanna d’arco del 1928 di Carl Theodor Dreyer).

La Bergman, insomma, è al top della sua carriera, finché un bel giorno assiste a una proiezione di Roma città aperta (1945), il capolavoro di Roberto Rossellini. Entusiasta, scrive al regista romano di aver adorato quel film offrendosi di lavorare con lui (il testo della lettera è molto più articolato e poetico, ma qui non c’è spazio per riportarlo). Rossellini non perde tempo e la convoca per Stromboli (Terra di Dio) del 1950, la cui protagonista doveva essere Anna Magnani, allora sua compagna. Nannarella si infuria, ma Rossellini, maestro del cinema neorealista, ma anche gran furbone nel saper finanziare i propri film, molla la Magnani e coopta la Bergman che a breve sposerà, nonostante Ingrid fosse al momento ancora maritata con Lindstrom, creando un maxi scandalo (il senatore degli Stati Uniti Edwin C. Johnson del Colorado la condannò pubblicamente come “una potente influenza per il male”).

A dire il vero, il sodalizio Bergman-Rossellini, mi riferisco ovviamente all’aspetto artistico, non portò bene a nessuno dei due: i film girati dalla coppia (il citato Stromboli, Europa 1951 del 1952, Viaggio in Italia del 1954 e altri tre fra cui un’altra Giovanna d’Arco, sempre del 1954) non raggiungono certo i livelli dei capolavori del neorealismo rosselliniano (fra l’altro andarono malissimo al botteghino) e anche la Bergman, a dirla tutta, ha fatto di meglio. Si salva, soprattutto per la sua ironia, l’episodio del film collettivo Siamo donne (1953) dove la Bergman deve vedersela con un invadente galletto.

Dopo la separazione da Rossellini, che intraprenderà una produzione televisiva non eccelsa, e che dà alla Bergman tre figli (fra i quali la nota attrice e modella Isabella, ex moglie, in seconde nozze, di Martin Scorsese), la diva svedese torna a Hollywood (sola eccezione durante il rapporto con Rossellini, che non gradiva che lei girasse con altri registi, fu un film del 1956 di Jean Renoir, Eliana e gli uomini). Per chi volesse approfondire la vita e la carriera dell’attrice, numerose biografie la raccontano (fra le altre quella di Charlotte Chandler) e poi ci sono vari docu-film: divertente I Rossellinis (2020), realizzato da Alessandro Rossellini, uno dei vari nipoti.

“Ho avuto diversi mariti, ho avuto le mie famiglie. Voglio bene a tutti e visito tutti. Ma dentro di me c’è la sensazione di appartenere al mondo dello spettacolo“, aveva dichiarato Ingrid Bergman al New York Times il 20 aprile 1975. Niente di più vero.

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