Nei 15 punti dell’accordo di programma per un governo di centrodestra la parola “evasione” non compare nemmeno una volta. Il capitolo dedicato al fisco dà spazio a promesse di flat tax, nuova pace fiscale, semplificazioni, abolizione di micro tributi ed esclusione di ogni ipotesi di patrimoniale. Più avanti si propone di elevare il tetto all’uso del contante: ottimo viatico, come dimostrato da uno studio di Bankitalia, se si desidera allargare l’economia sommersa. Non una parola su come recuperare parte dei quasi 100 miliardi di imposte e contributi sottratti ogni anno alle casse pubbliche, risorse che potrebbero finanziare un taglio della pressione fiscale per chi le tasse le paga. Eppure Giorgia Meloni, leader del partito in testa nei sondaggi in vista del voto del 25 settembre, sa bene che ignorare il problema – magari per strizzare l’occhio ai 19 milioni di contribuenti alle prese con una cartella esattoriale – può costare all’Italia decine di miliardi di aiuti europei.

Uno degli obiettivi del Recovery plan consegnato a Bruxelles riguarda infatti proprio il contenimento del tax gap, cioè la differenza tra il gettito che si otterrebbe in un mondo di contribuenti onesti e quello effettivo: entro il 2026 va ridotto di almeno 12 miliardi. Il cronoprogramma prevede che nell’anno finale del piano il Paese dimostri di aver diminuito la propensione a evadere di tre punti, al 15,8% dal 18,5% calcolato per il 2019 dalla commissione di esperti – guidata da Alessandro Santoro – incaricata di stimare il fenomeno e monitorarne l’evoluzione. Nel valutare il raggiungimento dell’obiettivo la Commissione Ue terrà conto dei valori relativi al 2024: di tempo ce n’è poco, meno di due anni. E di qui in poi ogni semestre è scandito da tappe intermedie che vanno rispettate alla lettera, a meno di non voler rinegoziare anche questa parte del Pnrr come quella sulla infrastrutture i cui costi sono lievitati causa inflazione.

Entro la fine del 2022 l’Agenzia delle Entrate dovrà per esempio aver inviato ai contribuenti oltre 2,5 milioni di comunicazioni che invitano a mettersi in regola (“lettere di compliance”), il 20% in più rispetto al 2019, aumentando al tempo stesso del 15% il gettito riscosso. L’anno prossimo, poi, è tenuta a mettere a disposizione di 2,3 milioni di partite Iva la dichiarazione precompilata. Il tutto facendo i conti, come ha di recente ricordato il direttore Ernesto Maria Ruffini, con una carenza di organico di 15mila unità su 44mila, che sarà colmata solo in piccola parte dalle 4.100 assunzioni previste dallo stesso Pnrr.

Nel Paese dell’evasione di massa la partita decisiva, come ilfattoquotidiano.it racconta da anni, è però quella dell’uso intelligente e massivo dei dati per individuare i contribuenti “a rischio” da sottoporre a controlli o invitare a mettersi in regola. A fine giugno il Garante della Privacy ha dato un sofferto via libera al decreto ministeriale (atteso fin dal 2020) che regola la cosiddetta “pseudonimizzazione” e le limitazioni al trattamento e al diritto di accesso, aprendo la strada allincrocio tra le informazioni sui conti correnti contenuti nell’Anagrafe dei rapporti finanziari e le altre informazioni su redditi e patrimoni. Ma è solo il primo passo. E, senza la volontà politica di continuare ad arricchire l’arsenale a disposizione delle Entrate (per esempio consentendo la raccolta di informazioni sul web attraverso l’intelligenza artificiale, come aveva proposto il Tesoro), tutto rischia di arenarsi.

Come la pensa Meloni, possibile prossima inquilina di Palazzo Chigi, è noto. I controlli incrociati equivalgono a un “Grande fratello fiscale” da scongiurare, la fatturazione elettronica che insieme allo split payment ha consentito di recuperare miliardi di gettito è una iattura “di stampo orwelliano” ai danni del mondo produttivo, le blande multe appena introdotte per chi non accetta i pagamenti con il Pos rappresentano una “batosta ai danni di commercianti e autonomi”. Non a caso Fdi ha cercato fino all’ultimo di cancellare le sanzioni o addirittura abolire l’obbligo di Pos. Gli alleati non sono da meno. La Lega di Matteo Salvini, che da mesi predica la necessità di una nuova pace fiscale nonostante i pessimi precedenti, in 202 pagine di programma ha riservato all’evasione cinque righe. Tutte dedicate a sostenere che le sanzioni devono essere “commisurate alla gravità dell’illecito”. Mercoledì, alla Versiliana, il leader ha detto che “l’unico modo per abbattere l’evasione è abbassare le tasse”. Un grande classico dell’era berlusconiana.

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