Prof. Serianni, ho pensato a lungo tu fossi una felice suggestione, un prodotto del nostro inconscio collettivo. Quell’armonia di garbo, umorismo sornione e profonda considerazione per ognuno di noi sciamannati non poteva profondersi così naturalmente in ogni gesto o parola di un Grande Sacerdote della nostra lingua.

E invece eri autentico e insperato, come i doni più belli.

Il nostro immaginario di diciannovenni era prevalentemente in bianco e nero come una lavagna, e ogni tua lezione cancellava dalle sue superfici l’idea che l’insegnamento fosse mero strumento di oppressione. In quelle aule gremite, la tua voce rassicurante ci liberava dalla paura che qualcuno stesse ricattando il nostro passaggio alla vita adulta, puntandoci addosso un macigno di saperi spigolosi.

Il tuo insegnamento era invece genuino e contagioso riconoscimento dell’altro, e delle sue istanze espressive. Di fronte a questo, ci siamo scoperti stupidi, ma secondo l’uso che del termine fa Dante nel ventiseiesimo Canto del Purgatorio. E dunque non poco intelligenti, ma attoniti e sbalorditi, come dei purganti al cospetto di una persona viva e vitale, là dove nessuno si aspettava di vederne alcuna.

Ce l’hai insegnato tu.

Nel riflettere sulla continuità della nostra lingua attuale con quella del passato, sulle sue evoluzioni più o meno virtuose, ci siamo scoperti meno soli, e maggiormente consapevoli di chi avevamo intorno. Hai dato a molti – finiti indegnamente al di qua di una cattedra – la fiducia necessaria a fare propria quella tensione curiosa e garbata verso l’altro.

Ti hanno strappato a noi nel bel mezzo di un deserto.

Un’ingiustizia profonda come tante ne abbiamo dovuto subire, da studenti e da individui, ma mai quando siamo stati in tua presenza, sotto la tua responsabilità, al cospetto della tua autorevolezza. Se è vero che ogni discorso generazionale è probabilmente il primo squillo di un vecchio trombone, voglio dedicare il mio alla penuria di punti di riferimento (e in particolare di Maestri) che i miei coetanei hanno sofferto, e a te che sei stato l’Eccezione in carne e ossa.

E questo è solo l’ultimo dei motivi per cui sei stato, e sarai, irripetibile.

Un tuo pessimo studente

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