“A scuola vi hanno mai parlato di Paolo Borsellino? E della mafia?”. Queste due domande, nei giorni scorsi, le ho rivolte a decine di ragazzi siciliani della scuola primaria che ho incontrato andando in giro per la Sicilia a presentare il mio ultimo libro, Paolo sono, un taccuino immaginario dedicato al magistrato ucciso dalla mafia il 19 luglio 1992. Fino a qualche anno fa, quando ponevo gli stessi interrogativi al Sud come al Nord, era più facile che ci fossero ragazzi settentrionali che non conoscessero Falcone e Borsellino. Ora la malattia dell’oblio ha colpito anche la Sicilia. Dopo trent’anni dalle stragi del 1992 la nuova generazione rischia di crescere senza conoscere un pezzo di storia che non può essere archiviato, non può essere scordato per almeno due ragioni.

La prima: Paolo Borsellino e Giovanni Falcone sono due uomini portatori di un modello valoriale che deve continuare a essere un punto di riferimento. Negli anni Novanta, proprio grazie a loro, tanti giovani hanno compiuto scelte di vita e professionali importanti.

La seconda: la vicenda delle stragi non è storia ma fa parte del presente. Ancora oggi non conosciamo i mandanti, anzi. Siamo di fronte al più grande depistaggio della storia italiana e non possiamo certo mettere la polvere sotto il tappeto.

In questo scenario, purtroppo, la scuola in questi anni ha messo in atto un depistaggio culturale che rischia di avere una sola conseguenza: tra trent’anni, Paolo Borsellino e Giovanni Falcone saranno solo una riga (forse) del libro di storia da studiare distrattamente un giorno per dimenticarla il giorno dopo. A dirlo non sono solo io ma sono i ragazzi che oggi frequentano le nostre scuole.

Sono le nipoti di Rita Borsellino (la sorella del magistrato) che si sono accorte di come la scuola ne stia boicottando la memoria. Valentina Corrao è cresciuta in via D’Amelio, oggi è diplomata all’accademia d’arte del dramma antico di Siracusa:

Di là della questione mafia, la scuola non trova più il fine per cui è nata. E’ ormai un qualcosa di meccanico. Quando nonna è morta ho riflettuto molto sulla memoria: la gente che c’era nel 1992 si ricorda ma non è abituata a trasmettere. Danno per scontato che noi sappiamo. La generazione figlia delle stragi e della caduta del muro di Berlino si è posata su quella pace ottenuta, sulla tranquillità illusoria. Non serve dire che nonna o zio Paolo ci mancano, dobbiamo andare oltre. Oggi c’è una stasi, una cristallizzazione che spaventa.

Eliana, sorella di Valentina, ha undici anni. Zio Paolo l’ha conosciuto solo attraverso le sorelle, i genitori, la nonna, ma a scuola di lui e della mafia ha sentito parlare una sola volta: “Il 23 maggio scorso la maestra ha cercato su Google ‘Paolo Borsellinoe ci ha letto alcune cose. Una o due ore, nulla di più. Io guardavo negli occhi i miei compagni e vedevo che non capivano”. E quando le chiedo perché la scuola dovrebbe ricordare zio Paolo e parlare di Cosa Nostra, Eliana non ha dubbi: “E’ il suo mestiere”.

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