“È un debito di riconoscenza ad Antonio De Curtis (Totò), che mi ha salvato innumerevoli volte nelle giornate difficili, restituendomi il buon umore. E non è poca cosa”, a raccontare il suo ultimo album, Sepè le Mokò, è Daniele Sepe. Un album che pesca dal repertorio delle colonne sonore, realizzate tra il ’57 e il ’62, con un sound allegro che unisce con gusto e maestria canzoni, be-bop e swing. “Un disco che vuole restituire – spiega il sassofonista napoletano – la genialità e la profonda italianità di questo swing sanguigno e ironico, che è un vero e proprio patrimonio, poco esplorato, della nostra tradizione jazzistica”. Un omaggio ai grandi compositori del passato: Piero Piccioni, Armando Trovajoli, Lelio Luttazzi, Carlo Rustichelli, Alessandro Cicognini e Piero Unliliani, ma anche a “registi, attori e sceneggiatori – continua il sassofonista – che ci regalano buonumore, e spesso uno sguardo più profondo di tanti film ‘seriosi’ dell’epoca sulla società italiana degli anni ’60”. Sepè le Mokò conferma l’ecletticità di uno dei più grandi musicisti e arrangiatori italiani, l’unico a rimanere completamente se stesso pur confrontandosi con infiniti generi. Un suono, quello di Daniele Sepe, che è una firma.

Perché un album sulle musiche di Totò?

Tanto per cominciare perché, in larga parte, le musiche relative ai film non sono reperibili. Le dadaiste avventure di Totò e i suoi comprimari, Peppino De Filippo, Vittorio Gassman, Nino Taranto, Aldo Fabrizi sono talmente intense e veloci che il più delle volte prestiamo poco orecchio a quello che avviene al di sotto, alle strepitose partiture che sottolineano la comicità tragicomica delle sceneggiature, e così perdiamo di vista un elemento prezioso.

Qual è l’approccio che hai quando lavori a canzoni non tue?

Ma ho un approccio sempre diverso, non ho un metodo prestabilito. ogni pezzo mi regala delle sensazioni, e seguo una visione, proprio come quando scrivo un pezzo ex novo. nel caso di una canzone ovviamente il testo mi indica già comunque una direzione.

Che musica stai ascoltando in questo periodo?

Per lo più, come sempre, ascolto musica in moto. Led Zeppelin, Jimi Hendirx, Beatles… le cose che mi mettono buonumore. E la notte quando dormo musica classica in quantità. Sono vintage.

C’è un sogno nel cassetto che vorresti realizzare? Un disco che vorresti fare?

C’è un album mio che mi è piaciuto, e in verità è quello che è piaciuto di più ai musicisti non italiani, si chiama “Lost Album”. Ecco, vorrei mettere insieme gli amici improvvisatori che ho, da Hamid Drake a Scannapieco, da Ionata a Flavio Boltro, Pittau, Bollani, per dirne solo alcuni, oltre alla miriade di amici napoletani, prendere uno studio ampio per un paio di giorni e fare una specie di incrocio tra “Ascension” e “Bitches brew”. Molta libertà, molto groove e senza rete. Ma ci vuole un po’ di energia per realizzarlo. Ma non è detto che non lo faccia. Beninteso, un album che farei per il gusto di fare, fottendomene della risposta della gente.

Ascoltando l’album si coglie anche la cultura jazz di chi, in quegli anni, realizzava le musiche di quelli che venivano definiti film di cassetta.

Il jazz era la contemporaneità allora. Insomma l’avanguardia. Non mi sembra che la musica da film italiana oggi sia l’avanguardia. Anche perché è difficile capire cosa sia l’avanguardia oggi. Ma se vedo un film francese o americano, è pieno di jazz e hip hop. Qua siamo ancora al piano romantico modello Einaudi.

Cosa pensi dello stato attuale della musica napoletana? C’è qualcosa che ti piace?

Napoli produce tanto. Qualcosa mi piace, qualcosa no. La musica strumentale mi sembra più allineata ad uno standard europeo, la canzone invece trovo che abbia fatto un passo indietro rispetto ai tempi di Pino. E me ne dispiace.

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