Niente indice di liquidità per iscriversi in Serie A. L’unica riforma – già definirla così è un eufemismo -, adottata negli ultimi mesi dalla FederCalcio per provare a cambiare il sistema si sgretola in tribunale. Dopo la decisione del Collegio di Garanzia del Coni, che aveva dato ragione alla Serie A nella sua battaglia contro l’indice, anche il Tar dà torto alla Figc. Il contenzioso potrebbe avere ancora una coda, ma considerando che oggi scadono i termini per misurare i conti dei club, la partita è chiusa.

L’indice di liquidità è un parametro tecnico che si calcola con il rapporto fra attività e passività correnti: serve a dimostrare la capacità di un club di rispettare gli impegni a breve. Non è una novità assoluta per il pallone: esiste da anni, anche se fino ad oggi la sanzione per chi non lo rispettava era lo stop al calciomercato. Ed è la ragione per cui sei società a gennaio si erano ritrovate con la campagna trasferimenti bloccata, come svelato dal Fatto. La Figc voleva trasformarlo in requisito obbligatorio per iscriversi al prossimo campionato, mettendo i presidenti in una posizione scomoda: o vendere giocatori o ripianare di tasca propria l’eventuale differenza. C’è riuscita per Serie B e Serie C, ma si è scontrata con la Serie A.

Condivisibile in linea di principio (chi può essere contrario a qualsiasi parametro che serva in qualche modo a tenere sotto controllo il sistema?), l’indice di liquidità aveva scatenato le proteste della Lega Calcio per tempi e modi con cui è stato introdotto: a poche settimane dai termini per l’iscrizione al prossimo campionato, in maniera quasi retroattiva. Ed è più o meno la tesi accolta dal Collegio di garanzia, che, anche se le motivazioni non sono ancora note, aveva sospeso il provvedimento. La questione tra l’altro era diventata ormai ininfluente considerando che la Lazio, l’unico club non in regola con il nuovo parametro, aveva deciso di versare i due milioni di euro mancanti, quasi per dare uno smacco alla Federazione e sminare il contenzioso. Adesso comunque è arrivata anche l’ultima parola del Tar, che nella sua sentenza ribadisce come “non risulta dimostrato alcun pregiudizio grave e irreparabile in ordine ai futuri adempimenti amministrativi e all’avvio del campionato di Serie A”, e dunque non c’era motivo per un intervento d’urgenza del tribunale amministrativo.

Dal punto di vista meramente giudiziario, è l’ennesima figuraccia della FederCalcio e dei suoi consulenti legali, che continuano a rimediare una sconfitta dopo l’altra: a memoria non si ricordano molti precedenti in cui una Federazione aveva scelto di uscire dall’alveo dalla giustizia sportiva per ricorrere al Tar contro una decisione del Collegio del Coni, la cosiddetta “Cassazione” dello sport: pur di tenere il punto la Figc lo ha fatto, e ha pure perso. Soprattutto, però, è l’ennesima brutta parentesi per tutto il pallone italiano: da mesi (letteralmente: la vicenda si trascina da gennaio), i due principali stakeholder, Federazione e Lega, discutono di un piccolo parametro tecnico che nel concreto non avrebbe cambiato nulla per il movimento. Era solo una battaglia di principio, e di potere, uno scontro personale tra Lotito e Gravina, considerando che poi nei fatti ballavano giusto due milioni di euro che il presidente della Lazio avrebbe dovuto sborsare di tasca sua. Alla fine ha vinto il primo, e perso il secondo, ma come al solito chi ci rimette davvero è sempre il calcio italiano: mentre Federazione e Lega si accapigliano sui cavilli, le riforme vere restano una chimera.

Twitter: @lVendemiale

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