Ieri i migranti siriani, oggi il grano ucraino, domani il gas a Cipro. La Turchia per l’ennesima volta gioca la sua personale partita su tutti i tavoli. Da un lato con la Nato e per la pace, dall’altro contro la Nato che si allarga. L’ultima questione riguarda la crisi del grano, il tutto mentre nel paese l’inflazione è arrivata al 73%. La visita del ministro degli esteri russo Sergei Lavrov ad Ankara che si terrà tra qualche giorno certificherà un’evidenza: lì dove uno stato di crisi porta in dote la possibilità di farsi player centrale, Recep Tayyip Erdogan è presente, costi quel che costi, con tutta l’instabilità che ne deriva così come accaduto in Siria (dove ne hanno fatto le spese i curdi) e in Libia (dove la Turchia ha de fatco estromesso l’Italia). Vladimir Putin afferma che il grano ucraino può essere esportato attraverso la Bielorussia, ma si tratta evidentemente di un bluff dal momento che tra Mosca e Ankara l’intesa è sia ideologica che pratica sul punto: Erdogan ha preparato un piano per sbloccare le esportazioni di grano dai porti ucraini del Mar Nero, con l’obiettivo di aprire un corridoio attraverso il Bosforo. In cambio è verosimile immaginare che proseguirà sul veto all’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato da un lato e sul veto al gasdotto Eastmed tra Israele e Salento dall’altro.

Anche per questa ragione il Dipartimento di Stato americano gioca d’anticipo e rafforza le sue relazioni con Grecia e Cipro. Nicosia in questi giorni ha preso parte, assieme a dozzine di caccia israeliani, ad un’esercitazione nel Mediterraneo e nel Mar Rosso mentre si preparano diversi scenari sul dossier Iran. Il porto settentrionale greco di Alexandroupolis, inoltre, è sempre pattugliato dalle fregate americane, in virtù del suo nuovo ruolo di hub del gas, tra Tap e costone balcanico, mentre i lavori per il raddoppio della base som di Souda bay a Creta offriranno alla marina a stelle e strisce un nuovo punto di appoggio a cavallo tra il quadrante euromediterraneo e quello mediorientale. I nodi restano nelle condizioni difficili della Turchia: non solo inflazione, ma anche il tema delle libertà è al centro del sentimento del popolo turco. Secondo un sondaggio d’opinione condotto dalla principale società di sondaggi turca MetroPOLL più del 70 per cento della popolazione afferma di voler vivere in un paese democratico e laico, mentre il 18,5% ha espresso il desiderio di una nazione “conservatrice-autoritaria” quando gli è stato chiesto “in che tipo di paese vorresti vivere?”.

Dal golpe farlocco del 2016 le condizioni sociali del paese sono precipitate: Freedom House ha designato la Turchia come “non libera” nel suo rapporto “Libertà nel mondo 2021”, che classifica i paesi in base a una varietà di parametri e il Transformation Index (BTI) 2022 del think tank tedesco Bertelsmann Stiftung ha definito la Turchia il paese con il maggiore declino della democrazia e dello stato di diritto nell’ultimo decennio tra i 137 paesi inclusi nello studio. Il tutto mentre il disavanzo commerciale è aumentato del 157% all’anno a 10,7 miliardi di dollari a maggio. La causa è da ritrovare nel taglio dei tassi di interesse deciso dalla banca centrale, portando a un aumento dei prestiti. Al contempo non si fermano gli investimenti pubblici dedicati alle spese militari, che hanno condotto sì a nuovi mezzi, come il pattugliatore marino senza pilota, una sorta di gommone-drone, con un’incidenza precisa su conti pubblici.

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