Il vento globale non è mai cambiato così rapidamente come negli ultimi tre mesi, in geopolitica e in economia. Sul fronte internazionale solo qualche settimana fa sarebbe stato impossibile prevedere che la Nato espandesse ancora più a est il suo immenso potere militare (ovviamente aggressivo, non difensivo) visto che l’ingresso nell’Alleanza Atlantica delle ex neutrali Finlandia e Svezia in funzione anti-Russia aumenta in modo esponenziale le minacce e i rischi di conflitto nucleare in Europa. E sul fronte economico, appena un trimestre fa i pochi saggi che temevano gli effetti del mostruoso aumento del debito pubblico erano visti come Cassandre porta-sfiga sotto l’influenza di teorie economiche d’altri tempi. Adesso non più. Grandi cambiamenti sul fronte occidentale dunque.

Partiamo dall’economia. Il pensiero unico dei capitalisti più fanatici ha dettato per molto tempo le regole del nuovo mondo. Il progresso economico, la globalizzazione, gli aumenti di produttività – spiegavano – hanno sconfitto in modo terminale l’inflazione. I tassi d’interesse dovevano rimanere ai minimi storici (a zero) per sempre, le banche centrali (Fed e Bce) avrebbero continuato a fornire di droga un “mercato tossico” tramite acquisti di titoli per decine di miliardi al mese. E il debito veniva considerato questione secondaria (rendiamoci conto che negli Stati Uniti il debito pubblico ha superato l’impensabile cifra di 30 trilioni di dollari, una cifra con 12 zeri cioè 30.000.000.000.000). Le tesi degli ultrà capitalisti – come ormai sappiamo – sono state un formidabile incentivo a lasciar correre le cose, sottovalutando i “cigni neri” in agguato. Per quanto ci riguarda, in un’Italia fiaccata dalla recessione da Covid, con Mario Draghi a Palazzo Chigi il debito pubblico ha toccato nel marzo 2022 il nuovo record storico a 2.750 miliardi di euro, superando il tetto del 150% nel rapporto con il Pil. Da notare che il Pil nazionale è andato in negativo nel primo trimestre di quest’anno, un altro trimestre sotto e siamo in recessione.

Nelle previsioni di primavera Bruxelles segnala che la guerra in Ucraina, oltre a far innalzare i prezzi di energia e materie prime, ha anche causato un blocco nelle catene di approvvigionamento di molti prodotti, frenando le industrie europee ed italiane. “La maggior parte della crescita dell’Italia” per il 2022 è “attribuibile a un effetto di trascinamento” legato alla “rapida ripresa” registrata nel 2021. A causa dell’attuale contesto geopolitico “le prospettive restano soggette a pronunciati rischi al ribasso”, scrive l’ufficio economico dell’Ue. Si tratta dell’effetto indotto delle sanzioni imposte alla Russia, dovevano colpire Mosca per l’invasione dell’Ucraina invece fanno male solo a noi e all’economia italiana.

Qui parlano chiaro sia le stime europee che quelle del Fondo Monetario Internazionale. Le banche centrali nelle maggiori economie avanzate dovranno procedere a rialzi dei tassi di interesse per contrastare le fortissime pressioni inflazionistiche (in Italia l’Ue prevede un’inflazione per il 2022 al 5,9% appunto per i rincari di gas, petrolio, materie prime e prodotti alimentari) per cui “è probabile che i rendimenti e i differenziali sui titoli di Stato continueranno ad ampliarsi, peggiorando le vulnerabilità sui debiti”, aggiunge il Fmi. E poi: “La guerra in Ucraina ha anche messo in rilievo il grande divario finanziario tra paesi”. Traduzione: distratti dalla narrativa bellicista degli ultimi mesi, la Banca d’Italia di Ignazio Visco e il Mef guidato da Daniele Franco si sono ben guardati (per ora) di comunicare agli italiani quanti miliardi di interessi pagheremo di più al mese, in questo scenario, per i costi di rifinanziamento del nostro debito pubblico.

In definitiva, con il micidiale doppio effetto sull’economia di una pandemia e di una guerra, la grande impalcatura intellettuale del capitalismo “drogato” dalle banche centrali crolla. Il miraggio del denaro magico creato dal nulla, i tassi d’interesse a zero per sempre, e la favola del credito infinito sono stati spazzati via dal “cigno nero” Vladimir Putin. Chissà che non sia uno dei pochi vantaggi collaterali che la guerra abbia alla fine sdoganato una sorta di redde rationem sui mercati finanziari e nella politica economica dei paesi occidentali. Le banche centrali, i veri padroni del mondo, dopo tutti questi anni di follie ci lasciano in eredità tre missili innescati pronti a deflagrare: inflazione galoppante, bolle speculative a gogò (mercato azionario, mercato immobiliare, criptovalute, più vari altri asset finanziari) e infine la montagna di debito di cui sopra. Si direbbe che la patologia dei pompieri piromani si applichi alla perfezione ai banchieri centrali: dopo aver inondato il mondo di denaro stampato gratis, Powell alla Fed e la orecchiante Lagarde alla Bce sono ora costretti ad alzare i tassi di interesse, con il rischio di soffocare la crescita. In ogni caso tardi e male. Mai politica economica e monetaria fu peggiore.

Questo grande sconvolgimento arriva in un momento molto negativo anche sul fronte sociale, sempre più famiglie fanno fatica a sbarcare il lunario e mettere il cibo in tavola, con i costi della spesa alimentare e le bollette dell’energia raddoppiate. La cicala, dopo aver cantato troppo, è ora sfiancata e senza voce. Il Parlamento poi è distratto sia dai continui appuntamenti elettorali che da un governo, appoggiato da una super maggioranza disomogenea, che spende miliardi per inviare armi a Kiev prolungando di fatto tutte le future guerre tra Russia e Nato. Le sanzioni anti Putin si ripercuotono contro migliaia di eroiche piccole e medie aziende del nord, mentre il mostruoso debito italiano mese dopo mese diventerà sempre più oneroso (quando la Troika formata da Ue, Fmi e Bce salvò la Grecia dal default Atene era messa molto meglio di quanto lo sia Roma oggi in termini di rapporto debito/pil). Corollario: in un momento in cui si prospetta un orizzonte economico nel migliore dei casi di triste e deprimente stagflazione (stagnazione + inflazione) mentre il rischio di guerra totale Nato-Russia cresce ogni settimana, il governo dell’ex banchiere centrale Draghi farebbe bene a riprendere finalmente il controllo della spesa.

Quando finirà la sbornia di miliardi ricevuti dal Pnrr europeo che fin qui ha permesso all’Italia di galleggiare, sopraggiunta improvvisa la sobrietà, allora dovremo fare i conti con le famose “dure repliche della storia“. E sarà, appunto, dura.

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