Due mesi dopo l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin la situazione è tutt’altro che immobile. Putin ha registrato tre sconfitte fondamentali: l’Ucraina non è collassata (come lui sperava e come temevano anche i servizi segreti occidentali), l’offensiva su Kiev è fallita e non è stato installato un governo fantoccio.

Allo stesso tempo è diventato evidente, in Vaticano e nelle cancellerie internazionali, che la guerra in corso non è più semplicemente tra Mosca e Kiev, bensì tra Stati Uniti e Russia. E’ questo aspetto a preoccupare particolarmente il Vaticano. La “terza guerra mondiale a pezzetti” evocata spesso da Francesco negli anni passati si è concentrata in uno scontro ai massimi livelli.

Dall’inizio di aprile, inoltre, si è manifestato uno slittamento nelle finalità della guerra. Ad una prima impostazione difensiva dell’Occidente (orientata a fermare l’invasione di Putin) è subentrata a Washington e Kiev e nella Nato la volontà di una guerra totale con la Russia. Le parole rivolte a Zelensky dal presidente del Consiglio europeo Charles Michel, “Vogliamo la vittoria dell’Ucraina e siamo determinati a fare tutto il possibile per sostenerla”, sono da questo punto di vista raggelanti nella loro retorica indeterminatezza. Aprono la strada a prospettive imprevedibili, ad una minaccia che riguarda il mondo intero come denunciato da papa Francesco.

Nel frattempo è in corso tra Kiev e la Santa Sede un braccio di ferro. Zelensky vuole arruolare il Vaticano nella sua battaglia contro la Russia, Francesco non vuole indossare divise. Il Papa resta ancorato alla linea dei pontefici suoi predecessori, che da Giovanni XXIII in poi hanno mantenuto gelosamente l’autonomia della Santa Sede durante la Guerra Fredda del Novecento.

In Ucraina le istanze politiche ed ecclesiastiche premono in vari modi. Un giorno è il vescovo di Odessa, mons. Stanislav Syrokoradjuk, a dire a La7 che il pontefice potrebbe fare di più. Un altro giorno arriva in Vaticano la lettera del comandante dei marines ucraini, assediati a Mariupol, in cui si chiede al pontefice un intervento diretto perché le “preghiere non bastano”.

Chiaro che si tratta di una partita politica. Ma Francesco non vuole favorire una regressione a secoli passati, in cui il papato scendeva in campo accanto ad alcuni stati e ne scomunicava altri. Francesco ha condannato con parole durissime i crimini e gli scempi dell’invasione russa, però la Santa Sede deve rimanere estranea agli schieramenti. Non neutrale, ma al di sopra della mischia. Per questo motivo il Papa ha rinviato l’incontro con il patriarca Kirill previsto a Gerusalemme per giugno e ha sospeso un possibile viaggio in Ucraina.

In questo braccio di ferro Kiev ha tuttavia segnato un punto durante la settimana pasquale. Sotto la pressione delle gerarchie politiche ed ecclesiastiche ucraine l’evento simbolico più eclatante della Via Crucis del 2022 – le due donne, l’ucraina Irina e la russa Albina, che reggono insieme la croce – è sparito dalla prima pagina dell’Osservatore Romano. Chi ha aperto (telematicamente) il quotidiano vaticano il giorno seguente non le ha viste. In prima pagina campeggiavano due immagini: Francesco in meditazione e il cardinale Krajewski inginocchiato davanti a una fossa comune in Ucraina, a Borodyanka. Per trovare Irina e Albina bisogna andare all’ultima pagina del giornale, ma anche lì non si vede che reggono la croce. La foto tagliata in modo che si vedono solo le due facce e le mani strette attorno ad un pezzo di legno nero: la croce in quanto tale è invisibile.

Autocensura tanto più sorprendente in quanto avvenuta dopo l’offensivo “oscuramento” della Via Crucis da parte della Tv di stato di Kiev e di una serie di emittenti cattoliche: UGCC Live Tv, Radio Maria, EWTN Ucraina. Anche l’agenzia di informazione religiosa ucraina Risu si è rifiutata di mettere l’evento sulla propria pagina web. Atteggiamenti “inopportuni”, li ha definiti diplomaticamente l’Avvenire.

Il gesto dei media ucraini ricorda l’esplodere dei nazionalismi più irrazionali, che si sono manifestati nell’Europa del secolo scorso. L’immagine del simbolo scelto e approvato dal Papa per la Via Crucis era particolarmente potente perché rimandava al trionfo della Croce sulla morte e sul male, sull’odio e la violenza. Perché evocava profeticamente il futuro di un’Ucraina libera e democratica accanto ad una Russia libera e democratica. E perché la storia stessa di Irina e Albina rappresentava un segno forte di speranza: Albina, la russa, il giorno dell’invasione era arrivata piangendo dall’amica ucraina Irina per esprimere il suo dolore e le sue scuse.

Ma no. Questo simbolo non doveva essere mostrato a Kiev e in Ucraina.

E’ circolata invece sul web una vignetta in cui si vede con lo sfondo del Colosseo una ragazza vestita con i colori ucraini, che regge una grande croce, e dietro di lei cammina una donna (vestita con i colori della bandiera russa) che imbraccia un mitra. In lontananza si vedono rovine di una località presumibilmente ucraina dove sono erette le tre croci del Calvario. Una meschina caricatura della Via Crucis papale, ma anche un segno della violenza con cui si vuole imporre una narrativa.

Tutta la vicenda resta significativa perché quanto più procede lo scontro Washington-Russia sul terreno ucraino tanto più si assiste ad una militarizzazione del pensiero: non sono ammesse analisi alternative, non sono ammesse proposte alternative alla guerra totale fino alla “vittoria”.
Francesco continua invece testardamente a proporre un’altra via. E più si cerca di presentare i suoi interventi come “parole al vento”, puramente morali, più appare evidente il carattere politico e alterativo della sua proposta. Aprire “negoziati seri” (che oggi Putin e Washington parallelamente non vogliono e su cui l’Ue appare incapace di fare una proposta autonoma) perché “quale vittoria sarà quella, che pianterà una bandiera su un cumulo di macerie?”. Spingere per una tregua “ma non per ricaricare le armi e riprendere a combattere, no!, una tregua per arrivare alla pace, attraverso un vero negoziato, disposti anche a qualche sacrificio per il bene della gente”.

Il secondo pilastro della proposta politica di Francesco riguarda lo scenario globale. Si tratta di andare ad una revisione complessiva dei rapporti internazionali. Cioè di costruire – sono le sue parole – un “modo diverso di governare il mondo”. Dunque un patto globale come fu quello paneuropeo di Helsinki nel 1975. E’ significativo che l’urgenza sia avvertita anche dal leader cinese Xi Jinping, che questa settimana ha esortato a impegnarsi per una “iniziativa di sicurezza globale” , che tenga conto delle legittime esigenze di tutela di tutte le nazioni.

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