Non tutti i compositori sono Mozart o Beethoven, Verdi o Wagner. Molti autori di ottima levatura hanno dato lustro all’arte dei suoni senza raggiungere vette geniali. Lo stesso vale per la storia dell’arte: accanto a Raffaello, Tiziano, Monet, Picasso, pullulano pittori egregi come Perin del Vaga, Paris Bordone, Alfred Sisley, Juan Gris. Un concetto va ribadito: gli “eccellenti” non nascono dal nulla; apprendono e crescono in un contesto culturale e sociale, e in esso elaborano esperienze e conoscenze pregresse e sviluppano capacità combinatorie. Il genio si alimenta di una humus sulla quale operano con successo tanti altri artisti.

Aldo Salvagno, direttore d’orchestra e musicologo, nei mesi della pandemia ha dedicato tre ricche monografie (tutte edite nel 2021 dalla Libreria Musicale Italiana di Lucca) ad altrettanti valenti musicisti italiani che, poco noti ai non addetti, tengono comunque un posto d’onore nella storia della musica.

Il primo dei tre volumi verte su Giuseppe Gazzaniga, nato intorno al 1737 forse a Bergamo o a Pavia, ma formatosi a Verona, dove la famiglia doveva essersi stabilita prima del 1743. Fu un esponente di spicco del genere “opera buffa”, ossia di quel sistema operistico che negli anni Settanta catturò l’Italia e l’Europa (salvo la Francia). Al compositore “buffo” si richiedevano abilità di tipo artigianale, adatte a ritmi di produzione serrati, in un genere basato su ruoli vocali e teatrali standardizzati: la serva intraprendente, la madama svenevole, il cicisbeo vezzoso, il burbero brontolone, il factotum traffichino: un sistema non dissimile da quello della commedia dell’arte, con in più la grazia di una vocalità spiritosa e disinvolta. Gazzaniga esordì a Napoli, lavorò in Italia e oltralpe, spesso al fianco della moglie, Caterina Ristorini, acclamata primadonna cresciuta in una famiglia di cantanti.

Oggi lo si ricorda soprattutto per un Don Giovanni in un atto, libretto di Giovanni Bertati, andato in scena a Venezia nel carnevale 1787, pochi mesi prima del Don Giovanni di Mozart dato a Praga in ottobre. L’operina piacque, e Lorenzo da Ponte, il librettista di Mozart, attinse parecchi spunti dal libretto di Bertati. Fra i due letterati non correva grande simpatia: Da Ponte, lingua biforcuta, definì il collega un “ciabattino teatrale”. Alla stregua di altri operisti coevi, abbandonata a una certa età la vita randagia dei teatri, Gazzaniga si sistemò infine nel 1791 come maestro di cappella nel duomo di Crema: morì in questa città nel 1818. Salvagno ci offre finalmente un quadro a tutto tondo della biografia di Gazzaniga, dell’epistolario, del copioso catalogo, ricco anche di musiche da chiesa.

Cuneo diede i natali ad Antonio Bartolomeo Bruni (1757-1821), violinista trapiantato fin da giovane a Parigi, dove si formò come compositore e operista. Bravo insegnante di musica, si mise in vista nel panorama artistico della città. Visse i tumulti della Rivoluzione, poi il passaggio dalla Repubblica all’Impero. Nel 1793 fu creato l’Istituto nazionale di musica (il futuro Conservatoire), e il citoyen Bruni fu incaricato d’inventariare gli strumenti musicali confiscati ai nobili. Nel 1796 la collezione contava ben 316 strumenti: è il nucleo approdato a fine Novecento nel Musée de la Musique. Salvagno, sulla base di molti materiali inediti, delinea la vita privata e pubblica del compositore, e ne esamina alcune opere, in particolare certi fortunati opéras-comiques, come Le major Palmer e La rencontre en voyage, a lungo acclamati anche fuori di Francia.

Il più noto dei tre musicisti trattati da Salvagno è il cremasco Giovanni Bottesini (1821-1889), definito il “Paganini del contrabasso” per la sua smisurata bravura sull’enorme strumento ad arco. Fu operista versatile e maestro concertatore: fu lui a dirigere al Cairo nel 1871 la “prima” dell’Aida di Verdi. Ebbe vasto successo e una legione di ammiratori: i giornali dell’epoca ne parlavano con entusiasmo. Salvagno ricostruisce la biografia, anche negli aspetti personali ed intimi, mettendo a frutto l’ingente epistolario che ne copre l’intera vita, salvo gli anni dal 1848 al 1855, quando Bottesini fu di stanza nei Caraibi, tra Cuba, il Messico e gli Stati Uniti. Le lettere superstiti riguardano il lavoro, i rapporti con gli editori (Giovanni, Tito e Giulio Ricordi), lo scambio con Rossini, Gounod, Massenet, Verdi. Affiorano anche questioni materiali: traversie finanziarie – Bottesini giocava al lotto e a carte – e sentimentali per via di rapporti non sempre distesi con la moglie, il soprano Claudina Fiorentini. Dallo spoglio delle missive emerge il ritratto di un uomo fervido, ansioso di riconoscimenti, talvolta fragile come a tutti càpita d’essere, ma sempre aperto e generoso.

Lavori di grande mole ed elevato interesse, questi di Aldo Salvagno, che gettano luce sulla nostra storia musicale e artistica, così ricca e per tanti versi ancora inesplorata.

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