“Nella sua mente, tre anni non erano diversi da un giorno. Quando un uomo perde una donna in quella maniera, il tempo si arrende a un prima e a un dopo. Ciò che era non è più e non può essere di nuovo. È così che funziona il tempo. Un uomo rimane intrappolato nel dopo.”

Queste montagne bruciano, di David Joy (traduzione di Gianluca Testani; Jimenez Edizioni), è uno stupendo affresco delle Carolina del Nord, tra aree tribali, boschi e montagne. È una storia di redenzione, perdono e borderline. Un padre che vuole salvare il figlio tossico dall’ennesima tempesta di guai, un giovane alla ricerca di una dose e un agente della DEA alla spasmodica ricerca di un caso da risolvere. Tre profili che si intrecciano tra loro (e con altre figure indimenticabili), spettatori e protagonisti del tracollo di un’umanità all’ombra di un glorioso domani WASP. Un romanzo toccante, crudo, magistralmente scritto. Autentico.

“Il giorno che seguì fu parecchio concitato. Il Morto lasciò la casa, ancora una volta accompagnato da tutto quel carico di cerimoniali che servivano a stordire i sensi. Quella parte di lui che rispondeva a un nome e a un numero della società delle leggi venne restituita alla terra. ‘Prima devono essere i bambini a spargere la terra sul padre…’. Lo fecero. E i cieli piansero mentre il suo servo liberato abbracciava la fresca terra e le vanghe appuntite lavoravano sopra di lui e la sua ultima dimora.”

Cristo fra i muratori, di Pietro Di Donato (prefazione di Sandro Bonvissuto, traduzione di Nicola Manuppelli; Edizioni Readerforblind), è un capolavoro del realismo letterario dell’immigrazione. L’autore, muratore e scrittore di origine abruzzese nato negli Stati Uniti nel 1911, esordì con questo romanzo nel 1939, e prendendo spunto da un fatto autobiografico (la morte del padre il venerdì santo del 1923 cadendo da un ponteggio), traccia la realtà degli immigrati italiani sottomessi al Sogno Americano, di quelli che costruivano gli alti grattacieli per realizzare il domani degli altri, alla ricerca di un futuro diverso che non arrivava mai. Capitale, mafia, caporali senza scrupoli, plutocrazia, integrazione non voluta: questi sono gli ingredienti de Cristo fra i muratori, lirico e struggente, profonda denuncia all’America killer dei vari Sacco e Vanzetti e di tutti quegli uomini sopraffatti dal proprio sacrificio per un’umanità nuova.

“Per la prima volta dopo tanto tempo il Natale a casa mia non era andato così male. Il mio fratellino non credeva più a Babbo Natale, ma aveva ricevuto una bicicletta con le rotelle e qualche altro regalo utile. A mia madre avevo regalato una radiosveglia che avevo rubato sulla 42a dicendole che avevo risparmiato per comprarla (…) come sorpresa speciale per le festività, mio fratello grande, Matt, era tornato dal Vietnam sano e salvo.”

L’avvoltoio, di Gil Scott-Heron (a cura di Paola Attolino; Rogas Edizioni), è il primo romanzo del polifunzionale artista rappresentativo dell’America nera, scritto quando aveva vent’anni ed era uno studente. Si tratta di un thriller costruito in modo maturo che si tuffa nella New York delle contraddizioni anni Sessanta. Un giovane spacciatore, John Lee, viene assassinato e la sua storia e il mistero della sua morte vengono narrati da quattro personaggi del ghetto che lo conoscevano e che possiedono quattro personalità completamente diverse tra loro. Si tratta di un’immersione nell’altra America, di come gli afroamericani vedevano se stessi e il loro rapporto conflittuale con le istituzioni ufficiali. Un romanzo velato di un profondo humor e una densa connotazione politica.

“Udii un veicolo arrivare nel parcheggio di fronte allo specchio d’acqua dove eravamo ormeggiati. Diedi un’occhiata e vidi il pick-up di Jake: un Toyota arancione malconcio, vecchio di vent’anni, con una marmitta tutta scassata. Non vedevo mio fratello da Natale. Le cose non erano andate tanto bene. Avevamo fatto a botte – prima tra noi, poi con altri tizi – e lui aveva dovuto togliersi di mezzo per un po’ perché uno di loro era rimasto conciato piuttosto male.”

Poncho e Lefty, di Tyler Keevil (traduzione di Pietro Strada; Jimenez Edizioni), è un romanzo che miscela dialoghi alla Barry Gifford e profili psicologici alla John Steinbeck. Frutto, in parte, delle esperienze dell’autore canadese, che nella vita è stato mozzo, operaio in cantieri navali, piantatore di alberi, il testo segue le vicende di Tim Harding e di suo fratello minore Joe che ricompare in città e lo trascina lontano dal porto di Vancouver dove Tim sta cercando di vivere onestamente. I due, soprannominati Poncho e Lefty (prendendo spunto da una canzone di Townes Van Zandt), viaggiano oltre il confine con gli Stati Uniti, via terra e via mare, dopo un furto che li catapulterà dentro una rocambolesca avventura dal gusto twainiano, facendo risuonare il canto della fedeltà alla famiglia e agli emarginati poco fortunati che popolano i margini delle strade del Sogno Americano.

Articolo Precedente

Stalin e la questione ucraina: così Lenin si pentì di averlo nominato segretario generale del Pcus

next
Articolo Successivo

Jago, ho visitato la grande mostra personale del fenomeno social che lavora il marmo in streaming

next