Nel campus dell’Università Nazionale di Farmacologia di Kharkiv gli studenti si preparano per la prima sessione di esami. Ismael ha 21 anni ed è originario di Khemifra, in Marocco. Dal 2019, con un permesso temporaneo per motivi di studio, vive e studia in Ucraina. Il 23 febbraio è nella sua camera al nono piano del Campus universitario, prepara l’esame di Biologia. Studia, cena e va a dormire. “Una vita calma e sicura” racconta a ilfattoquotidiano.it. Alle 5 del mattino lo strappano dal sonno i tonfi delle bombe: la Russia di Putin ha attaccato l’Ucraina. Il suo vicino di stanza egiziano, Eyup, grida, le porte sbattono e gli studenti con facce terrorizzate si danno alla fuga. Ismael si veste: sneakers, jeans e giaccone neri, il colore dei giorni che lo attendono. Afferra un piccolo zaino, infila il passaporto e i documenti di residenza in Ucraina: le cose più preziose che ha. In poco tempo si ritrova negli scantinati dell’edificio insieme agli altri. Trova posto dove può. Eyup lo vede e si siede accanto a lui. Adesso sono tutti nella stessa condizione. La guerra appiattisce, sono già dei rifugiati. Si parlano, cercano di informarsi e di capire, ma si rendono conto che se vogliono sopravvivere molto dipende da livello di batteria del loro smartphone. Le ragioni dell’inizio del conflitto, la Nato, la Russia, il Donbass e la Crimea, il trattato di Minsk sono molto più lontani delle bombe che li hanno costretti lì. Riceve una chiamata dello zio Icham che vive a Livorno da 22 anni. “Stai bene?”, “Sì, sto bene”. E’ lì che è diretto. Deve risparmiare la batteria e i soldi per altri aggiornamenti nel corso del viaggio.

Ma ci sono rifugiati e rifugiati: l’Unione europea ha riconosciuto ai profughi che arrivano dall’Ucraina la protezione temporanea. Per i non ucraini decidono gli Stati membri: la Spagna è più inclusiva, la Francia li respinge alla frontiera e addirittura li mette sotto chiave. In Italia il governo non ha ancora recepito la direttiva Ue e il paradosso è che chi era al sicuro in Ucraina in Ue rischia di essere abbandonato a se stesso.

Il caso di Ismael, a Livorno, è stato preso in carico dall’avvocata dell’Asia-Usb Mariateresa Veltri, che è specializzata in diritto delle migrazioni e coordinatrice dell’Accademia di Diritto e Migrazioni. Secondo la questura il suo assistito non ha lo status che soddisfa le norme minime per accedere alla protezione temporanea alla quale, invece, tutti i profughi ucraini accedono. “Per Ismail – spiega l’avvocata Veltri – è stata avviata una procedura accelerata, che si svolge in tempi più rapidi rispetto alla procedura cosiddetta ordinaria. Nel suo caso sarà sentito per l’audizione in Commissione Territoriale di Livorno, dopo la formalizzazione della domanda di protezione internazionale, poi attendiamo l’esito (si spera positivo) per permettergli subito l’iscrizione al corso di studi in farmacia, interrotto in Ucraina, all’Università di Pisa. In caso di diniego, questa procedura comprime alcune garanzie, come quella che in pendenza di ricorso la persona viene considerata intanto come non beneficiaria di protezione, dunque irregolare”.

Il viaggio di Ismael per arrivare in Italia è durato 9 giorni. La fuga inizia in quegli scantinati del campus universitario. Dopo che i bombardamenti sembrano essere cessati, un paio di giorni dopo il primo allarme, Ismael ed altri studenti formano un gruppo di quindici persone. Kharkiv è una città di 1,5 milioni di abitanti, ha una superficie di 350 chilometri quadrati, due volte quella di Milano. Tra loro e la stazione ci sono circa 4 km, decidono di percorrerli a piedi. Arrivano sotto l’imponente colonnato della Stazione Centrale di Pasazhyrsky e trovano un muro di gente che vuole lasciare la città tanto quanto loro.

“E’ stata dura salire sul treno, uno spingeva l’altro, abbiamo aiutato le ragazze, abbiamo lottato” racconta. “In un vagone da 40 persone saremo stati 100. Stretti uno all’altro tanto che ad un certo punto i miei piedi non toccavano più terra”. Non sanno esattamente dove stanno andando, almeno Ismael non lo sa. Vive in Ucraina da poco più di tre anni: gli anni del Covid, dei lockdown e delle restrizioni, non conosce bene la geografia del Paese. Il treno è diretto a Leopoli, nella parte ovest, al confine con la Polonia. In condizioni normali sono tredici ore di viaggio, ne impiegano invece ventisette. Escludono di passare dalla Polonia, la frontiera più vicina. Hanno sentito raccontare di altri meticci stranieri provenienti dal Nord Africa che sono stati respinti. Escono dalla stazione di Leopoli, fermano un taxi. Un autista gli chiede mille euro per portarli in Slovacchia. Sono un infinità, non hanno neanche i soldi per mangiare. Rimontano sul treno, il primo che capita, direzione Chop al confine con l’Ungheria. Ci sono persone che aspettano da tre giorni. Da lì arriva a Uzhhorod, sul confine slovacco, poi, attraverso Bratislava, a Vienna. E’ salvo. “Non riuscivo più a camminare, sentivo un forte dolore alle gambe – dice – Alla stazione un signore mi ha soccorso e mi ha portato all’ospedale, non ricordo bene chi fosse. Sono stato ricoverato un giorno, poi appena mi sono sentito meglio sono scappato. Non sapevo cosa fare e cosa mi sarebbe successo”. Da Vienna prende un treno diretto a Firenze dove lo aspetta lo zio Icham. E’ il 5 marzo, dopo 9 giorni di viaggio Ismael è a casa, a Livorno. Adesso che è ritornato ad una vita “calma e sicura”, almeno per la sua incolumità fisica, deve affrontare un altro viaggio, quello burocratico. In Ucraina la sua vita era scandita dallo studio all’università e dagli allenamenti in palestra: un’esistenza come tante, in Ucraina, in Europa. Ismael vorrebbe ricominciare da lì.

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