Gli Stati Uniti annunciano nuove sanzioni contro i dirigenti cinesi, alla vigilia del viaggio di Joe Biden in Europa e all’indomani delle nuove dichiarazioni che tirano in ballo Pechino per il suo ruolo e le sue posizioni dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina. Il segretario di Stato Usa, Antony Blinken, ha spiegato che le sanzioni colpiranno funzionari cinesi accusati di repressione degli uiguri musulmani e di altre minoranze etniche e religiose. Ma la mossa non aiuta a distendere i rapporti tra Pechino e Washington: le tensioni erano aumentate subito dopo l’aggressione di Vladimir Putin (proprio sul tema delle sanzioni) e il colloquio della settimana scorsa tra Biden e Xi Jinping aveva solo in parte contribuito a riportare il sereno. Gli Stati Uniti, infatti, finora non sono riusciti a convincere la Cina a mollare Putin e prendere posizione contro Mosca.

Nella nota del dipartimento di stato non sono indicati i destinatari delle misure, ma Blinken ha ribadito la sua richiesta a Pechino di “mettere fine al genocidio e ai crimini contro l’umanità” nello Xinjiang. “Chi compie abusi dei diritti umani deve continuare ad affrontare conseguenze. Gli Stati Uniti hanno intrapreso azioni per imporre restrizioni di visti a funzionari della Cina per avere provato a intimidire, attaccare e reprimere dissidenti e difensori dei diritti umani dentro la Cina e fuori”, ha dichiarato il segretario di Stato Usa.

Se la questione non riguarda direttamente il conflitto Russia-Ucraina, inevitabilmente rischia di avere delle ricadute anche sul fronte più caldo a livello globale. Solo ieri (lunedì), Washington ha accusato Pechino di non fare nulla per fermare la guerra: “La Cina è il Paese con la maggiore influenza sulla Russia, quindi potrebbe fare di più per mettere fine alla guerra. Finora non abbiamo visto niente di tutto ciò, abbiamo solo sentito dichiarazioni“, ha sottolineato sempre il dipartimento di Stato.

Eppure solo venerdì scorso la telefonata tra Joe Biden e Xi Jinping era sembrata un segnale di distensione. Eppure aveva contribuito a rimarcare le distanze tra Usa e Cina. Il leader cinese aveva sostenuto che “gli Stati Uniti hanno interpretato male e giudicato male le intenzioni strategiche della Cina”, sottolineando che i due Paesi hanno sempre avuto e avranno differenze ma che “la chiave è gestirle perché una relazione sino-americana stabile è vantaggiosa per entrambe le parti”. Quindi aveva messo in guardia proprio dall’applicazione delle sanzioni “a tutto tondo e in maniera indiscriminata” per i rischi di colpire l’economia globale con “perdite irreparabili”. Infine un duro monito su Taiwan, considerata parte inalienabile del territorio cinese: “Se la questione di Taiwan non sarà gestita adeguatamente avrà un impatto sovversivo sulle relazioni tra i due Paesi”, aveva avvisato Xi Jinping. La Cina, insomma, non gradisce interferenze nella sua sfera di influenza.

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