Era ricomparsa in tribunale dopo essere sparita per diverse ore e adesso è stata rilasciata dopo la condanna al pagamento di una multa la giornalista della tv pubblica, Marina Ovsyannikova, che ieri, nel corso del tg, ha esposto un cartello nel quale condannava la decisione di Vladimir Putin di invadere l’Ucraina. Il suo gesto era diventato anche il simbolo della repressione in atto nel Paese, dopo che Novaya Gazeta aveva pubblicato uno screen del gesto cancellando il messaggio scritto sul poster esposto in diretta perché “il contenuto non può essere diffuso in base al codice penale“. All’uscita dal tribunale, la donna ha ringraziato per il supporto e ha detto di essere molto stanca dopo le 14 ore di interrogatorio, durante le quali non le è stato permesso di contattare i suoi parenti.

L’autrice della protesta, avevano fatto sapere dal sito dissidente bielorusso Belsat, “dopo 10 ore dall’arresto non è stata ancora rintracciata dai suoi avvocati” che quindi non sanno dove si trovi. Informazione confermata anche dalla Tass. Prima del suo gesto, la donna aveva registrato un messaggio in cui definiva quello che sta accadendo in Ucraina “un crimine, la cui responsabilità ricade solo su un uomo, Vladimir Putin”. Ovsyannikova, che ha ricordato di avere un padre ucraino e una madre russa, ha ammesso di “vergognarsi” per aver lavorato per la tv russa negli ultimi anni “portando avanti la propaganda del Cremlino, permettendo alla gente di mentire dagli schermi televisivi e trasformando in zombie il popolo russo”. Dopo avere ricordato come i russi hanno taciuto nel 2014, in occasione dell’annessione forzata della Crimea, e davanti all’avvelenamento del dissidente Alexei Navalny, la giornalista riconosce che “l’intero mondo ci ha voltato le spalle e non basteranno dieci generazioni di nostri discendenti per lavare le nostre mani da questa guerra fratricida“.

Nella giornata di martedì è arrivato anche il commento del Cremlino che ha definito quello di Ovsyannikova un atto di “teppismo”: “La trasmissione in diretta di qualsiasi canale televisivo è una dimensione speciale, in cui c’è una responsabilità specialmente per coloro che ci lavorano”, ha dichiarato il portavoce Dmitry Peskov. All’atteggiamento russo hanno risposto le Nazioni Unite che con Ravina Shamdasani, portavoce per i diritti umani, hanno chiesto che le autorità garantiscano che la donna “non subisca rappresaglie”. Mentre il presidente francese, Emmanuel Macron, ha proposto una “protezione consolare” per la giornalista che adesso rischia fino a 15 anni di carcere: “Lanceremo la procedura diplomatica per offrire una protezione sia all’ambasciata sia una protezione come l’asilo – ha detto – avrò occasione, nel mio prossimo colloquio con il presidente Putin, di proporre questa soluzione in modo diretto e molto concreto”. Nel frattempo, la donna era ricomparsa in tribunale, dove si è tenuta l’udienza a suo carico con l’accusa di organizzazione di una protesta non autorizzata che ha portato alla sua condanna.

SIMBOLO DEL BAVAGLIO RUSSO – Il suo caso è comunque diventato il simbolo della censura messa in atto dall’esecutivo di Mosca nei confronti di tutti i dissidenti che si oppongono alla guerra. È bastata un’immagine, emblematica, e un messaggio breve come un tweet a smascherare, se mai ce ne fosse stato bisogno, il vero obiettivo della nuova legge russa sulla disinformazione approvata il 5 marzo dal parlamento di Mosca. Non un tentativo di limitare la propaganda in tempo di guerra, ma solo la volontà di imbavagliare le opinioni che vanno contro la linea imposta dal regime di Vladimir Putin. È tutto evidente se si legge uno degli ultimi tweet pubblicati da uno dei giornali più indipendenti di Russia, la Novaya Gazeta, lo stesso che per anni ha ospitato gli articoli della giornalista Anna Politkovskaja.

Nel post si vede l’immagine di Ovsyannikova che durante il tg appare dietro le spalle della conduttrice con un cartello. Su quel foglio c’è un appello per chiedere la fine della guerra in Ucraina, ma nell’immagine diffusa dal quotidiano della Federazione si vede solo un grande cartello bianco. Una censura bella e buona evidenziata da Novaya Gazeta per mettere in luce le restrizioni imposte alla stampa dal Cremlino ed evitare anche che quella parola, “guerra”, provocasse nuovi arresti all’interno della sua redazione, dato che insieme a “invasione” e altri termini simili è stata bandita dal vocabolario mediatico russo. Lo si capisce ancora meglio leggendo il messaggio scritto dalla redazione: “Nella trasmissione del programma Vremya, alle spalle della conduttrice Ekaterina Andreeva, è apparsa una ragazza con un poster, il cui contenuto è vietato diffondere in base al codice penale. Secondo informazioni non confermate, si tratta di Marina Ovsyannikova. Attualmente è in arresto“.

Da quando ha invaso l’Ucraina, Mosca ha imposto una stretta sulla libertà di stampa. L’informazione non allineata è stata zittita con l’introduzione di leggi “per limitare ogni espressione dissonante e mettere a tacere media indipendenti, giornalisti e attivisti”, come denunciato da Amnesty International. Puniti con pene fino a 15 anni di carcere la diffusione di notizie che il Cremlino considera “fake news” o “disinformazione”, gli appelli per le sanzioni contro la Russia e qualsiasi riferimento all’esercito russo “in termini denigratori”. A rischio non solo i media tradizionali, ma anche i singoli cittadini che usano blog e social network per diffondere notizie sulla situazione in Ucraina. Senza dimenticare il divieto di usare le parole “guerra” o “invasione” in favore della formula preferita dal Cremlino: “Operazione militare speciale”. Provvedimenti che avevano portato anche i principali media internazionali a interrompere le proprie trasmissioni nel Paese.

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