Il primo marzo del 2017 la Camera dei Deputati approva all’unanimità il testo già licenziato all’unanimità dal Senato per la istituzione della Giornata nazionale della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie: entra così definitivamente nel calendario repubblicano una data fortemente voluta da migliaia di famigliari delle vittime di mafia che fin dal 1995 grazie all’Associazione Libera avevano rivendicato l’importanza di questa memoria collettiva.

Ricordarli tutti e tutte, non soltanto le figure più popolari e prestigiose, perché tutti e tutte vittime della medesima violenza. Ricordarli tutti e tutte in una data simbolica, il primo giorno di primavera, per saldare il dovere della memoria con l’impegno insoddisfatto a liberare l’Italia da mafie e corruzione. Fece bene il Parlamento? O cedette a quella che alcuni storici definiscono “bulimia memorialistica” ed in particolare “vittimistica”, che si manifesta nella proliferazione di giornate dedicate a questi e a quelli, con il rischio di polverizzare la memoria pubblica in una miriade di recinti autoreferenziali?

Fece bene, ne sono convinto.

Perché quello che oggi sappiamo del ruolo delle mafie nella storia del nostro Paese ci deve spingere a riconoscere nel conflitto tra mafie e antimafia una vera e propria guerra civile, atipica, irrisolta, esiziale per la democrazia italiana. Le mafie non sono un eccezionale fenomeno criminale, ma una manifestazione criminale della gestione ordinaria del potere pubblico: se così non fosse, lo Stato le avrebbe battute definitivamente da un bel pezzo. Le vittime delle mafie non sono quindi semplicemente vittime di alcune spietate organizzazioni criminali, ma sono vittime della guerra non conclusa tra coloro che intendono la Repubblica italiana fondata sul principio di legalità e più generalmente sulla Costituzione del ’48 e quanti invece hanno cercato e cercano di svuotare questi principi, preferendo una società più comodamente fondata su quelli di forza, appartenenza ed ubbidienza. E’ la società delle correnti, dei clan, delle clientele. E’ la società della intimidazione, della corruzione, della segregazione.

Le mafie sono state sempre culturalmente maestre e militarmente alleate di questo modo feroce di intendere il legame sociale. Vorremmo poter dire che questa guerra civile è combattuta tra mafie e Stato, ma sbaglieremmo: purtroppo sappiamo che c’è stata mafia anche dentro lo Stato ed è proprio questo che rende la storia così decisiva per la qualità democratica italiana. Ecco perché fece bene il Parlamento: istituire la giornata è un modo per rammentare all’opinione pubblica una lotta che ha già preteso un altissimo tributo di sangue e che però non è finita, riguarda la responsabilità di ciascuno. Oggi.

La legge prevede che istituzioni e scuole dedichino a questa ricorrenza una adeguata attenzione. Cosa succederà? Non ne ho idea, ma ho una speranza racchiusa in due parole: parresia e poesia.

Parresia, cioè la parola che dice tutto, che dice la verità. La verità fa crescere un Paese e sbaglia chi ancora pensa che sia meglio tacere, eludere, mescolare le carte per una mal riposta fiducia nel quieto vivere, in una limacciosa “pacificazione” che puzza di decomposizione. Soprattutto a trent’anni dalle stragi di Palermo abbiamo bisogno della verità, senza ulteriori aggettivi, specialmente sui rapporti tra mafie e pezzi di Stato.

Poesia, cioè la parola che trascende il sapere razionale e ci connette con la più profonda dimensione spirituale, la sola in grado di far scoccare scintille esistenziali. Non c’è rivoluzione senza poesia: bisogna avere canzoni da cantare insieme quando in gioco c’è la vita. Per questo mi ha commosso un giovane poeta, Fabio Strinati, classe ’83, che ha dedicato anni di lavoro a comporre 93 ritratti poetici, riuniti nella raccolta “Nel bosco e di preghiere”, dedicati ad altrettante vittime di mafia. Ne pesco una a me particolarmente cara, quella dedicata ad Antonino Agostino e a sua moglie Ida Castellucci:

Una raffica di colpi, sporchi, balordi, ti colpirono dovunque,
e d’improvviso, un alito di vento… Sul lungomare Colombo,
disse: “vi conosco”, da terra, una giovane Donna,
a cui hanno trafitto il cuore con un bruciante colpo;
il suono ondulante della brezza marina, morire in agosto, col mare calmo,
mese, dalla frutta zuccherina.

La legge 20 del 2017 venne promulgata dal Presidente Mattarella l’8 marzo: mi piace pensare che anche questa sia stata una scelta ispirata e non una casualità. Buon 21 marzo, allora, di parresia e di poesia!

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