Sergej talvolta sembra incantarsi mentre fissa un punto dell’ambiente che lo circonda, quasi stesse dialogando intimamente con qualche entità. Sembra chiedersi ‘ma chi me lo ha fatto fare?’. Poi scopri che non è così. Sergej è un giovane ristoratore ucraino e l’ambiente che lo circonda sono gli oltre 100 mq del suo ristorante Ucrainanska Podvir’ya (il Cortile dell’Ucraina), nel cuore del centro storico di Leopoli. La città ancora risparmiata dall’attacco militare della vicina Russia. Da quando è scoppiata la guerra, vista la situazione di emergenza generale, Sergej ha chiuso il suo ristorante ai clienti che fino al febbraio scorso lo affollavano, aprendolo per un altro scopo: “Ogni giorno preparo da mangiare ai militari in servizio a protezione della città, a quelli che si preparano per andare al fronte, ma anche alla polizia e in generale a chi ha bisogno. Ad esempio le persone che hai visto poco fa sono dei volontari dedicati all’accoglienza dei profughi (in città si stima ce ne siano circa 200mila, ndr). Dovevo e volevo fare qualcosa per il mio Paese, i soldi in questo momento non sono il problema”.

Sergej Rak, 30enne, avrebbe potuto fare come tante altre attività commerciali qui, abbassare semplicemente la saracinesca e aspettare tempi migliori. Invece ha deciso di tenere accesi i fornelli per preparare ogni giorno pasti caldi, curati con maestria da Andreji, scattante chef di mezza età. Prima della guerra il Cortile del’Ucraina era particolarmente gettonato in città, vuoi per la vicinanza al teatro dell’Opera, vuoi per la sua enorme griglia a vista da dove uscivano pietanze di carne oltre ai piatti della tradizione. Il boršč ad esempio, la tradizionale minestra a base di barbabietola, che oggi sta sobbollendo in cucina. All’ora di pranzo, col ristorante vuoto e ufficialmente chiuso, arriva una pattuglia a bordo di un mezzo militare. Sono in quattro, armati fino ai denti, entrano e si siedono a un tavolo dopo aver salutato Sergej e il resto del personale operativo: una aiuto cuoca, un’addetta alle pulizie e Volodia, amico fraterno di Sergej e cameriere. Presto le zuppe sono servite mentre in cucina stanno riempiendo quattro enormi contenitori per viveri con 15 litri ciascuno di boršč e di un’altra profumata zuppa con carne e patate oltre a pane e verdure. Avrebbero caricato anche la birra artigianale venduta dall’Ucrainska Podvir’ya, se non fosse che dall’inizio della guerra in Ucraina vige il divieto di vendere e consumare alcolici: “Domani prepariamo la carne alla griglia, maiale, pollo, manzo, tutto, comprese le salsicce fatte in casa – spiffera Sergej Rak mentre i soldati si organizzano per caricare i 60 litri di boršč a bordo del mezzo militare – Ripeto, non ne faccio una questione di soldi, quelli finché ci sono servono per andare avanti. Il personale che vedi qui non sta percependo lo stipendio, ma quando ho chiesto chi se la sentisse di portare avanti il ristorante per un’altra finalità nessuno ha rifiutato. Gli altri dipendenti, metà del totale, sono a casa perché non c’è bisogno di tutti, ma li dovessi chiamare verrebbero di corsa. Devi capire che stiamo vivendo una situazione straordinaria, ci sono delle priorità e questa è la mia, il nostro modo per dare una mano al Paese in guerra”.

Oggi è stato così al ristorante, domani si replica e via di seguito, fino a quando sarà necessario. I giorni passano, Sergej e il suo staff cercano di palesare una normalità che non c’è. Impossibile al momento prevedere cosa accadrà domani e in futuro. Come già detto, Leopoli per ora è stata risparmiata dalle bombe e dai combattimenti, nel dubbio Sergej ha pensato bene di evacuare tutta la sua famiglia in Italia dove da anni la madre Raisa vive e lavora. Sabato scorso, vista la piega che stava prendendo il conflitto, Rak ha messo in macchina la moglie Olena e i due figli, Oleksandr e Sofia, fino al confine con la Polonia. Da lì un autobus li ha portati in Italia e lì aspetteranno tempi migliori: “Mi mancano, ma l’Ucraina non è un Paese sicuro, preferisco stiano da mia madre. Ci sentiamo e parliamo tutti i giorni – confida mentre mostra le foto della famiglia e i palloncini con il numero ‘10’ gonfiati nel giorno del compleanno di Sofia, a metà febbraio – Con la nonna sono al sicuro. Pensa che domani inizieranno la scuola a distanza perché sono ancora in quarantena dopo il tampone anti-Covid, ma tra pochi giorni andranno in classe in Italia. Torneranno qui solo quando il pericolo sarà finito”. In Italia c’è anche la sorella di Sergej, suor Victoria del monastero delle Clarisse di Santa Chiara a Camerino. Lei e sua madre Raisa stanno cercando di aiutare Sergej: “Stiamo raccogliendo degli aiuti da inviare a mio fratello – spiega suor Victoria – Speriamo di avere supporto dall’Italia. Lui e gli altri che portano avanti il ristorante sono molto coraggiosi”.

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