Da commedia a realtà, adesso la storia del presidente Volodymyr Zelensky si è tramutata in tragedia. La sua faccia aveva fatto il giro del mondo nel 2019, quando era stato eletto a larghissima maggioranza nuovo capo di Stato dell’Ucraina. Oggi ha svestito giacca e cravatta e indossato la mimetica trovandosi ad affrontare da presidente la più grave minaccia all’integrità e alla sicurezza del suo Paese dal giorno dell’indipendenza dall’Unione Sovietica. Dal successo come comico che interpretava proprio un professore che riusciva a diventare presidente alla resistenza contro l’invasione delle truppe di Vladimir Putin: ecco la storia del capo dello Stato che ha in mano le sorti future dell’Ucraina.

La sua carriera da presidente inizia in qualche modo quattro anni prima della sua elezione, avvenuta nel 2019. Non con una poltrona a Palazzo Mariinskij, ma con la serie tv Servitore del popolo, nella quale un professore di liceo che si espone contro la corruzione dilagante diventa un simbolo del risveglio anti-politico nella popolazione che lo porta alla guida del Paese. Quando alle elezioni del 2019 è stato scelto dai cittadini come successore di Petro Poroshenko, è come se alla Presidenza fosse salito proprio il prof Vasily Petrovyč Goloboroďko. Anche nel suo caso, la retorica populista, anti-corruzione, anti-politica e anche filo-atlantista gli hanno consegnato il successo. L’opinione pubblica internazionale, per questo, lo ha a lungo snobbato: un comico alla guida di un Paese cruciale negli equilibri geopolitici europei, cuscinetto tra il cosiddetto blocco occidentale e la Russia di Vladimir Putin che su quei territori nutriva ancora aspirazioni imperialiste, dopo la destituzione del suo fedele Viktor Yanukovich seguita alle proteste di EuroMaidan. Tanto che, quando sale al potere, Zelensky si trova un Paese già spaccato tra le autoproclamate repubbliche del Donbass e la Crimea, da una parte, e il resto del suo territorio dall’altra.

E quella fama di politico populista e incapace di gestire le tensioni interne se l’è portata dietro fino ad oggi, quando messo alle strette dall’avanzata russa ha preso una decisione che, nel bene o nel male, rappresenterà una svolta nella sua vita: con Kiev assediata e bombardata dai missili di Mosca, non è fuggito, ma è rimasto in città, insieme al popolo che lui stesso ha deciso di mobilitare per non vedere di nuovo il tentacolo russo allungarsi su tutto il Paese. Così, andando contro le scelte di tanti suoi omologhi del passato in diversi Paesi del mondo, da leader sull’orlo del baratro ha deciso di non accettare l’offerta degli Stati Uniti per un’evacuazione sua e della sua famiglia dalla capitale: “Mi servono armi per combattere – ha risposto -, non un passaggio”.

I suoi video non sono spariti, anzi, ne ha registrati sempre di più e li sta diffondendo con ritmo incessante dai suoi canali social. Nelle immagini, però, non c’è più lo Zelensky in giacca e cravatta che si scaglia contro la corruzione e gli oligarchi del suo Paese, bensì il capo di Stato in trincea, in mimetica, che scende per le strade della città chiedendo uno sforzo maggiore agli alleati e invita la popolazione a resistere, creando un legame indissolubile con la sua gente. “Resistete fino alla fine per scacciare l’invasore”, è il messaggio che continua a ripetere per allontanare la resa. Perché sa bene che se la conquista dei vasti territori a est dell’Ucraina era inevitabile per un esercito numeroso e molto meglio equipaggiato come quello russo, la guerriglia di strada, casa per casa, strada per strada, è un’altra cosa. E più passa il tempo, con la popolazione civile impegnata a respingere l’avanzata delle truppe di Vladimir Putin, più la Russia rischia di ritrovarsi impantanata in una guerra che, nei suoi piani, doveva risolversi in pochi giorni. “Questa potrebbe essere l’ultima volta che mi vedete vivo”, ha detto nella videoconferenza di giovedì notte di fronte ai leader dell’Unione europea. Ma Vasily Petrovyč Goloboroďko è già morto, Volodymyr Zelensky, invece, non ha nessuna intenzione di cadere.

Twitter: @GianniRosini

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