I fatti corrono più veloci delle parole nella vicenda ucraina. Ma nei giorni più concitati dell’offensiva russa in Ucraina, mentre l’esercito di Vladimir Putin stava mettendo a ferro e fuoco il Paese, è emerso anche il ruolo di primo piano svolto dalla Cina non solo nelle ore calde del conflitto, ma già dai mesi precedenti l’attacco. Un appoggio alle rivendicazioni, ma non incondizionato, che si è tradotto anche in garanzie economiche che hanno permesso a Mosca di agire forte della ‘via di fuga’ ad est rappresentata proprio da Pechino.

Il 25 febbraio, Xi Jinping e Vladimir Putin si sono telefonati e il presidente cinese ha comunicato a quello russo che il suo Paese sostiene Mosca nella ricerca di una soluzione negoziale con l’Ucraina. Nella stessa telefonata, Putin si è detto d’accordo a condurre colloqui di alto livello con il governo ucraino, poi naufragati poche ore dopo, mentre Xi Jinping, che in quel momento sembrava poter assumere il ruolo di grande mediatore verso la tregua, ha aggiunto che “è necessario abbandonare la mentalità da Guerra Fredda” (leggi, allargamento della Nato a oriente e, più in generale, le politiche di contenimento che gli Usa cercano di attuare nei confronti della Cina stessa), che bisogna rispettare le legittime preoccupazioni in materia di sicurezza di tutti i Paesi (di nuovo, no alla Nato ai confini russi) e creare un meccanismo di sicurezza europeo equilibrato, efficace e sostenibile attraverso i negoziati. Xi ha anche specificato di essere favorevole al rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti gli Stati, quindi anche dell’Ucraina.

A sintetizzare in 5 punti la linea cinese sulla questione ucraina ha pensato poi il ministro degli Esteri cinese, Wang Yi, comunicandola agli omologhi Ue: la Cina sostiene il rispetto e la salvaguardia della sovranità e dell’integrità territoriale di tutti i Paesi e del rispetto della Carta delle Nazioni Unite; i legittimi appelli alla sicurezza della Russia dovrebbero essere presi sul serio e opportunamente risolti; tutte le parti dovrebbero esercitare moderazione per evitare che la situazione peggiori ulteriormente e prevenire una crisi umanitaria su larga scala; la Cina sostiene tutti gli sforzi diplomatici favorevoli alla risoluzione pacifica della crisi in Ucraina; la Cina non sarebbe d’accordo con eventuali risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu che invocassero nell’immediato e con leggerezza l’autorizzazione all’uso della forza e le sanzioni. Secondo molti, Pechino è quindi l’unica forza in campo in grado di svolgere una mediazione che possa scongiurare ulteriori bagni di sangue in virtù della sua amicizia con la Russia di Putin.

Poche ore prima dell’apertura dei Giochi olimpici di Pechino, il 4 febbraio, Xi e Putin si erano incontrati per il primo faccia a faccia tra i due dal 2019. Già in quell’incontro, Cina e Russia avevano dichiarato di essere contrarie a un’ulteriore espansione della Nato, mentre Mosca aveva pienamente sostenuto la politica di Pechino verso Taiwan, opponendosi a ogni indipendenza dell’isola. Cina e Russia si considerano potenze stabilizzatrici nell’area dell’Asia-Pacifico e, come avevano anticipato i due ministri degli Esteri il giorno precedente all’incontro tra i presidenti, si oppongono a qualsiasi “blocco” che intenda destabilizzare l’area. Non è dato sapere se in quell’occasione Putin avesse comunicato a Xi la propria intenzione di riconoscere le repubbliche del Donbass e poi di invadere l’Ucraina qualora le proprie richieste non fossero state ascoltate. Può darsi che il presidente russo abbia illustrato diversi scenari a quello cinese, tuttavia alcuni elementi fanno pensare che anche Pechino sia stata colta di sorpresa dall’aggressione scatenata da Putin e che non le sia per niente piaciuta.

Innanzitutto, vanno rimarcate alcune prese di distanza cinesi rispetto alla scelta del governo russo. Il 24 febbraio, la portavoce del ministero degli Esteri, Hua Chunying, ha fatto in conferenza stampa diverse affermazioni. Ha detto risolutamente che “l’Ucraina è uno stato sovrano” e che “Cina e Ucraina hanno una cooperazione amichevole basata sul rispetto reciproco”. Ha inoltre aggiunto che “l’evolversi della situazione in Ucraina fino a oggi non è quello che speravamo di vedere”. E ancora: “La Russia è un grande Paese indipendente e decide e attua in modo indipendente la propria diplomazia e strategia in base al proprio giudizio strategico e ai propri interessi. Prima di prendere decisioni e azioni diplomatiche, la Russia probabilmente non ha bisogno di chiedere in anticipo il consenso di altri”. Il significato può essere: hanno fatto tutto da soli, noi non c’entriamo. Inoltre, Hua Chunying ha detto che “la Cina è l’unico membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu che non ha raggiunto la completa riunificazione della madrepatria”. Secondo alcune nostre fonti cinesi, questa affermazione significa che la Russia, invece, è già completamente “riunificata”, non deve annettersi l’Ucraina e probabilmente neppure le regioni separatiste del Donbass.

Un fatto ancora più indicativo è che, nella stessa conferenza stampa del 24 febbraio, la portavoce Hua ha dichiarato di non sapere quanti cinesi risiedano in Ucraina. Ricordiamo che ormai da giorni, se non settimane, la maggior parte degli altri Paesi avevano chiesto ai propri cittadini di lasciare il Paese. Solo a mezzanotte e 30 minuti del 25 febbraio (ora cinese), l’ambasciata cinese di Kiev ha chiesto a tutti i concittadini presenti nel Paese di “registrarsi” entro domenica 27 febbraio per richiedere un eventuale rimpatrio via charter. Insomma, non solo la Cina non aveva suggerito ai compatrioti di rimpatriare, ma non li aveva neppure registrati, misura precauzionale minima (ricordiamo che in Libia, invece, Pechino organizzò un rimpatrio di massa in tempi record).

Sicuramente, tutti questi fatti potrebbero essere interpretati anche in maniera diametralmente opposta, cioè come una sorta di gioco delle parti tra Vladimir Putin e Xi Jinping. Resta il fatto che Pechino non può appoggiare una guerra d’annessione di Putin perché così facendo smentirebbe il concetto di integrità territoriale su cui si basa buona parte della sua politica estera. Nelle dichiarazioni ufficiali cinesi non si citano mai le autonominate repubbliche del Donbass, bensì solo le “legittime preoccupazioni in materia di sicurezza” di Mosca.

Questo non ha però impedito a Pechino di fornire una via di fuga economica verso est a Vladimir Putin, ben conscio che un’azione così spregiudicata avrebbe causato l’imposizione di pesanti sanzioni da parte dell’Alleanza Atlantica. Il 24 febbraio, proprio il giorno in cui Putin ha lanciato l’attacco militare contro l’Ucraina, la Cina ha sollevato il proprio blocco alle importazioni di grano dalla Russia, che era dovuto a preoccupazioni rispetto a una malattia della pianta. L’accordo per la ripresa delle forniture risaliva in realtà all’incontro del 4 febbraio tra Xi e Putin, ma la tempistica colpisce comunque. La Cina, del resto, ha già dichiarato che non aderirà a eventuali sanzioni lanciate dall’Occidente. Sempre a margine dell’incontro di febbraio, Russia e Cina hanno firmato un contratto di 30 anni per la fornitura di gas russo a Pechino attraverso un nuovo gasdotto. Altri sono in costruzione perché è la stessa Cina che vuole aumentare le importazioni.

Nel 2021, l’interscambio commerciale tra Cina e Russia ammontava a 146,9 miliardi di dollari, meno di un decimo rispetto agli 1,6 trilioni di dollari degli scambi con gli Stati Uniti e l’Unione europea. Un sesto delle esportazioni russe vanno in Cina e due terzi di queste sono rappresentati da gas e petrolio. Se è vero che teme di perdere i mercati occidentali qualora offra un eccessivo aiuto all’economia russa sotto sanzioni, è ancora più vero che Pechino non prenderà nessuna decisione che possa danneggiare i propri interessi, soprattutto per quanto riguarda l’approvvigionamento alimentare e di fonti energetiche. L’aumento del prezzo del carbone sui mercati mondiali ha già provocato una catena di blackout in Cina lo scorso autunno, non deve succedere più. Le forniture energetiche devono essere assicurate.

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