Se fossimo anche noi in vena, come molta parte della stampa italiana, di analogie con la Seconda guerra mondiale, chiameremmo questo periodo drôle de guerre, o anche la guerra strana, farsa, seduta. Così venne definito il periodo tra l’invasione nazista della Polonia nel 1939 e l’attacco a Benelux e Francia nel 1940. Una fase in cui non accadde molto sul piano delle ostilità militari. Se fossimo in vena, ma non lo siamo, e non tanto perché stia succedendo molto, quanto per il fatto che le analogie storiche non portano lontano, anzi sono spesso il prodotto di crassa ignoranza, quando non di malafede.

È quello che accade periodicamente con l’uso delle figure che meglio incarnano il male nel XX secolo: Adolf Hitler e la Germania nazista. Vladimir Putin infatti viene dipinto come una sorta di novello Hitler così come era già successo ad altri, uno su tutti Saddam Hussein, verso il cui regime l’intervento bellico fu giustificato attraverso un’altra analogia storica: l’appeasement anglo-francese nei confronti della Germania alla conferenza di Monaco del 1938.

Ma Saddam non era l’unico: “riferimenti agli anni Trenta, a Monaco e all’appeasement ricorrono frequentemente negli scritti dei neoconservatori. […]; nella letteratura degli anni Settanta, quando critiche di appeasement venivano rivolte verso la politica di distensione nei confronti dell’Unione Sovietica; nel corso degli anni Novanta, quando Milosevic veniva descritto come il nuovo Hitler” (Jim Lobe, Adele Oliveri (a cura di), I nuovi rivoluzionari. Il pensiero dei neoconservatori americani, Feltrinelli, Milano 2003, pp. 24-25).

In queste ore, non si contano gli articoli e i servizi in cui Putin viene rappresentato come un guerrafondaio. Sulla Stampa un titolo lo definisce “Vlad il Terribile” (Vlad come Tepes, il Terribile come Ivan) che “passa il Rubicone” (come Cesare: un mash-up ridicolo) con l’obiettivo di “ricostruire l’URSS”; sullo Huffington Post un’immagine straziante di ragazzine disperate e in lacrime è accompagnata dal titolo “A Kiev le mamme mettono degli adesivi sui vestiti dei loro figli, col gruppo sanguigno”. Peccato che l’immagine si riferisca al funerale di quattro ‘ribelli’ nel Donbass nel 2015, e che dunque le ragazzine in lacrime fossero filo-russe che stavano piangendo vittime separatiste filo-russe.

Si potrebbe continuare, ma il punto è: a chi giova costruire una narrazione del conflitto che oppone Ucraina e Russia in termini apocalittici? Certamente al meccanismo del clickbait, che viene alimentato da rappresentazioni sempre più allarmistiche. Ma anche a chi persegue scientemente l’intento di mobilitare l’opinione pubblica occidentale rendendola favorevole a un eventuale intervento statunitense nella regione.

E non si tratta di dare ragione a Putin o a Biden. Certo meriterebbe ricordare con un po’ di realismo che la politica internazionale è sommamente volubile, e che il diritto internazionale è quanto di più soggetto alle sollecitazioni politiche vi sia in ambito giuridico: oggi con te, domani contro di te. Ieri la secessione del Kosovo veniva salutata dall’Occidente come un momento di libertà. Ma il Kosovo era una provincia autonoma della Repubblica Federale di Jugoslavia ed era ritenuta dai serbi il luogo dell’identità nazionale sul cui territorio si era svolta la battaglia di Kosovo Polje. Ieri la crisi dei missili di Cuba scaturì un atto di estrema ostilità dell’Unione Sovietica verso gli Stati Uniti. Si potrebbe andare avanti a lungo.

In realtà ciò che occorrerebbe è una maggiore sobrietà degli organi di stampa, quando non una maggiore buonafede, nel raccontare vicende così delicate in cui l’opinione pubblica è una parte in campo, non lo spettatore.

Parlare di annessione o di invasione, per esempio, non risponde a quanto è accaduto nel Donbass: Putin ha firmato, polemico e provocatorio quanto si vuole, non un atto di annessione, ma il riconoscimento delle due repubbliche indipendentiste. Certo, politicamente è evidente l’espansione di Putin verso Occidente. Ma gran parte della stampa occidentale racconta una parte della storia, rendendosi complice d’altro canto di una narrazione manichea in cui Putin è il male assoluto. Se per anni abbiamo dovuto sentire di centrali russe di disinformazia all’opera per orientare il voto occidentale, dovremmo anche cominciare a dire che l’Occidente non si è mai sottratto alla guerra delle notizie.

Qualche anno fa un’agenzia si vantò di essere riuscita a trasformare i serbi in nazisti. Oggi, complice la stampa ‘libera’, se Putin non è stato trasformato in Hitler, certo ci stiamo andando vicini.

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