Che quella di oggi potesse essere una giornata particolarmente calda era chiaro fin da ieri sera, da quando Vladimir Putin, in diretta nazionale, aveva ufficialmente riconosciuto le due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Luhansk. L’escalation in Donbass non si è fatta attendere e nella regione sudorientale dell’Ucraina, divisa fra esercito di Kiev e milizie filorusse, già dalle prime ore della mattina sono iniziati intensi bombardamenti che hanno così prolungato la lunga scia iniziata nei giorni precedenti.

Vrubivka, a pochi chilometri dal fronte, piccolo villaggio abitato ormai da poche anime, è oggetto di un fuoco pesante che fa tremare di paura chi ancora non ha deciso di andarsene. “È il secondo attacco in neanche 24 ore e non ne possiamo più”, tuona Leonid, un omone di 100 chili ma stremato da una guerra che continua da 8 anni e che rischia di espandersi in tutta l’Ucraina. “Ieri l’artiglieria ha colpito le finestre e le ha mandate in frantumi. Mio figlio e mia moglie sono rimasti miracolosamente illesi ma li ho spediti immediatamente a Severodonetsk, una trentina di chilometri più a nord. Lì, spero, rimarranno al sicuro. Io non me ne vado, non voglio lasciare la mia casa anche perché non mi fido. Qui regna l’anarchia, il conflitto ci sta devastando anche dal punto di vista sociale. Tutte le abitazioni sono recintate e con le inferriate. Se qualcuno ti entra in casa e chiami la polizia non arriva nessuno perché anche le forze dell’ordine hanno paura”. Leonid ce l’ha con tutti: “Perché chi ci spara non viene individuato? Perché non sappiamo chi ci bombarda? Perché i satelliti non dimostrano chi è il colpevole di queste azioni? Kiev non ci difende, nessuno pensa a noi. Avremmo bisogno di un leader come Lukashenko, che fa l’interesse del suo popolo. Non ci sarà la democrazia, in Bielorussia, ma vivono in pace e in un Paese sicuro”.

Sono oltre trenta fra ieri e oggi le abitazioni del villaggio che hanno subito danni: alcuni lievi, altre invece irrimediabilmente distrutte. Tre quarti dei residenti se ne sono andati, quelli rimasti non hanno gas, qualche palo della luce è stato abbattuto, internet funziona a singhiozzo e la comunicazione fra amici e parenti è complicata. Riprendendo il viaggio in auto si è costretti a fermarsi dopo pochi minuti: c’è un nuovo attacco in corso e imboccare le strade sotto il fuoco è troppo rischioso.

Valentina ha 72 anni, vedova da quattro, un figlio morto nel 2020. E da ieri senza mezza casa, divelta dall’artiglieria. Fronte dei separatisti, anche se qui a pochi interessa la provenienza. “Perché succede tutto questo? Che cosa ho fatto io di male per meritarmi le bombe?”. Piange pensando a un futuro senza speranza. C’è il cane che la consola e scodinzola, ma la sua cucina non c’è più. “Non è vita questa, è da 8 anni che la guerra va avanti e nessuno fa niente per fermarla”.

Ad Anatoly e alla moglie gli spari hanno colpito il cancello e una parte interna di una casina. Ringrazia gli italiani “arrivati fin qui per far conoscere questa tragedia”, non si azzarda in previsioni ma non è certo ottimista. Nei cinque chilometri che fiancheggiano il fronte vivono circa 30mila persone: “Hanno bisogno di tutto – spiega Larysa Grizenko, fra i responsabili della ong Proliska – e in molti casi hanno perso tutto. Alcuni il lavoro, perché le loro aziende sono state bombardate, altri non ricevono la pensione perché sono scappati dai territori occupati e quindi non gli viene riconosciuto ciò che avevano maturato nelle zone in mano ai separatisti. E poi ci sono quelli che hanno perso la casa fin dal 2014, da quando è iniziato il conflitto, e che noi continuiamo a seguire”. Uno di questi è Victor, che ci ospita nel suo miniappartamento messo a disposizione dalla ong a Zolote, cinque chilometri da dove oggi si combatte: “Ho abitato per 60 anni dove adesso c’è il fronte ma non ho più niente. Ogni mattina, quando mi sveglio, sono convinto di trovarmi a casa mia ma subito dopo mi rendo conto di essere un rifugiato”. Sulla spalla ha tatuato il simbolo della Marina Militare di Sebastopoli: “Ho servito l’Unione Sovietica ma non rimpiango l’epoca socialista. L’Ucraina è indipendente da trent’anni e tale deve restare. Io mi sento ucraino e amo la mia terra, ma Putin sta aiutando i cittadini di Donetsk e Lugansk mentre Kiev ci ha abbandonati a noi stessi”.

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