“Ho di fronte a me due alternative, ma entrambe potrebbero rappresentare il baratro”. Nell’Ucraina in preda alla psicosi ci sono storie che meglio di altre raccontano le sofferenze di un’intera popolazione. Quella di Natalia è la conferma di come il destino, a volte, sia davvero beffardo. Natalia non è il suo vero nome: meglio usarne uno di fantasia perché i servizi segreti bielorussi hanno studiato nella scuola del vecchio Kgb e hanno occhi e orecchie dappertutto. La donna ha 35 anni, uno splendido sorriso, due occhi grandi e splendenti ma la loro lucentezza si è offuscata a causa del rischio di un conflitto con la Russia. Ha lasciato Minsk l’estate scorsa in tutta fretta, fuggendo da un Paese che stava subendo la dura repressione di Lukashenko. Ha trovato rifugio (e pace) nella vicina Ucraina, “in mezzo a un popolo che è nostro fratello – racconta a Ilfattoquotidiano.it – e che parla una lingua quasi uguale alla nostra. Sembrava un’oasi di serenità. Ho diversi parenti qui a Kiev che mi hanno accolto come una figlia. Ho trovato un lavoro, mi stavo ricostruendo una vita. Ma tutto questo, ora, potrebbe dissolversi in un attimo”.

Natalia ha due soluzioni davanti a sé, ma entrambe potrebbero rivelarsi nefaste. “Posso rimanere qui in Ucraina, ma il rischio è che a breve possa scoppiare la guerra. Fino a qualche giorno fa sembrava un’opzione remota e quasi tutti eravamo convinti che l’invasione russa fosse soltanto un’esagerazione. Una fake news come se ne leggono tante ogni giorno. Ma nelle ultime ore la sensazione è cambiata, la tensione è salita alle stelle, tanti amici mi hanno consigliato di lasciare il Paese, i miei parenti in Bielorussia mi chiamano e mi dicono di andarmene”.

È quello che vorrebbe fare, ma a quale costo? “Se torno a Minsk posso finire in prigione. Sono stata inserita nelle liste di proscrizione dopo le proteste in seguito alla rielezione farsa di Lukashenko. Ho manifestato anch’io come centinaia di migliaia di miei connazionali ma dopo una prima fase in cui le marce quotidiane sembravano tollerate, si è abbattuta su di noi la scure del regime. Ci hanno cercato di casa in casa, hanno intimato i nostri datori di lavoro di licenziarci e per non rischiare la galera ho dovuto passare il confine. Se rimango a Kiev potrei finire sotto le bombe ma se rientro a Minsk potrebbe attendermi la prigione”.

In un anno di proteste in Bielorussia 35mila persone sono state arrestate e migliaia picchiate dalla polizia. Cinque i morti ufficiali, di più quelli ufficiosi, una cinquantina i desaparecidos e tanti, tantissimi cittadini scappati all’estero senza possibilità di rientrare. Le misure detentive sono lunghe, qualche oppositore ha rischiato persino l’ergastolo, la pena di morte non è mai stata abolita e le condizioni delle carceri sono spesso precarie. Natalia non vuole finire dietro le sbarre ma nemmeno rimanere intrappolata in mezzo alla guerra. “Ho due figli a Minsk, uno piccolo e un adolescente. Mi mancano tantissimo. Non so cosa fare, mi sento persa”. Chiede consiglio a noi, “voi italiani forse riuscite a inquadrare meglio la situazione. Che cosa succederà?”. Impossibile risponderle. “Certo, nessuno lo sa. Bisognerebbe chiederlo a Putin. Il nostro destino è nelle sue mani”.

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