Non è molto confortante pensare che il destino del pianeta, minacciato, oltre che da virus e cambiamento climatico, da un possibile conflitto tra potenze nucleari per l’Ucraina, sia nelle mani di un 79enne che non brilla per prontezza d’ingegno e lucidità intellettuale. Eppure così è. Siamo dentro un incubo che sta prendendo le orribili fattezze di una guerra inventata, ma che potrebbe tramutarsi in una devastante realtà, che i giornali embedded evocano con crescente insistenza sulla scorta di ripetute “rivelazioni” provenienti da fonti occulte e incontrollabili quali “alti funzionari del Pentagono”, “dichiarazioni di agenti della CIA” e simili.

La verità è che di una guerra del genere Biden ha bisogno come il pane. Gli servirebbe sul piano interno per rimontare i sondaggi in rapida discesa, accreditandosi come l’uomo forte destinato a fare di nuovo grande l’America, per riprendere lo slogan del suo antagonista Trump. Gli servirebbe sul piano internazionale per porre fine alla ribellione più o meno silenziosa di alcuni importanti alleati Nato, Francia e Germania in testa, e ribadire così, nel fuoco di un conflitto, l’utilità di un’alleanza militare e politica chiaramente superata dalla storia. Gli servirebbe su entrambi i piani per cancellare il ricordo infamante della fuga dall’Afghanistan, epilogo obbligato di un’insensata e sanguinosa avventura durata oltre vent’anni. Gli servirebbe sul piano dell’economia, imponendo agli europei il proprio gas, sebbene molto più caro di quello russo, e rilanciando alla grande le proprie industrie di armamenti, che stanno scaricando in Ucraina migliaia e migliaia di tonnellate di armi e munizioni in vista della guerra auspicata.

Per capire le motivazioni profonde di tale auspicio basta del resto leggere controluce l’editoriale di oggi di Repubblica, a firma di Paolo Garimberti, il quale esordisce affermando che “Putin sta facendo un favore a Biden, il cui tasso di consenso interno era sceso al livello di quello bassissimo di Carter. Assediando l’Ucraina, alzando ogni giorno il frastuono dei tamburi di guerra, che la Casa Bianca fa riecheggiare puntualmente in tutto il mondo amplificandoli al punto da infastidire perfino il governo di Kiev, il presidente russo ha finito per ricompattare l’Occidente”. La chiave interpretativa di questa frase sibillina è tutta nella sottolineatura dell’opportunità positiva che si offre a Biden per effetto della tensione crescente (il “favore” che gli farebbe Putin) e del ruolo della propaganda di guerra capace di inventare di sana pianta un probabile conflitto come profezia che si autorealizza (l”amplificazione” dei tamburi di guerra).

In effetti, come ammesso da Garimberti, l’esagerata strumentalità dell’approccio statunitense ha provocato reazioni stizzite e preoccupate da parte di vari componenti del governo di Kiev, che si rendono conto di svolgere essi stessi, col loro Stato e popolo, la funzione di potenziali vittime sacrificali sull’altare di Biden, degli Stati Uniti e della Nato. Reazioni che hanno destato a loro volta l’ira di Washington, ben esemplificata dalla telefonata di sabato tra Biden e il presidente ucraino Zelensky, durata a quanto pare oltre cinquanta minuti, di cui sarebbe davvero interessante conoscere l’esatto contenuto, e dall’asse che si sarebbe venuto a creare tra Stati Uniti e Nato da una parte e le formazioni neonaziste ucraine, ben presenti nell’esercito e nelle forze di sicurezza dall’altra.

Obiettivo comune di quest’asse è stato, nella manifestazione, peraltro non enorme, che si è svolta sabato a Kiev, proprio Zelensky, accusato di nutrire forse ancora qualche fiducia negli accordi di Minsk che erano stati concepiti per risolvere pacificamente la situazione. I punti sostanziali della questione sono infatti due: lo status delle Repubbliche secessioniste del Donbass, la cui proclamazione è stato l’effetto inevitabile della costituzione di un governo di estrema destra a Kiev a seguito dei moti di piazza Maidan, e la possibile entrata dell’Ucraina nella Nato, in nuova e palese violazione degli impegni assunti dagli Stati Uniti nel momento della riunificazione della Germania, oltre trent’anni fa.

Queste le basi della controversia cui l’Occidente non vuole dare una soluzione pacifica e politica. E’ possibile, in conclusione, che mercoledì avvenga un attacco in grande stile delle forze ucraine contro il Donbass, magari abbinato a un golpe della destra estrema contro Zelensky. L’eventuale reazione russa sarebbe presentata come la riprova della giustezza delle previsioni di guerra delle Cassandre occidentali, la cui profezia si autorealizzerebbe. In entrambi i casi sarebbe però evidente la responsabilità della Nato, facilmente riconoscibile oltre la cortina fumogena della propaganda che, anche in Italia, si avvale della grande stampa, dei media in genere e di gran parte dei partiti politici, con in testa il Pd di Letta, Quartapelle e Guerini.

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