E’ difficile comprendere perché qualcuno, dotato di mille talenti e altrettante fortune, non riesca a dominare i propri demoni in grado di atterrarlo e sconfiggerlo, fino a portarlo in qualche caso anche alla morte. E’ complicato giustificare se stessi, tanto più quando si tratta di un personaggio famoso, che immaginiamo estremamente più fortunato di noi e che finiamo per non considerare umanamente debole come noi.

Quando dieci anni fa arrivò la notizia della scomparsa di Whitney Houston, soprannominata The Voice, come in Italia chiamiamo anche Frank Sinatra, rimasi sbalordita. Non riuscivo a comprendere perché fosse morta in quel modo la cantante donna più premiata nella storia della musica mondiale, l’artista alla quale il pubblico tributava una standing ovation ogni volta che saliva su un palco.

Tornava il ricordo di una ragazza perbene di grande bellezza naturale, dall’aria sbarazzina e il trucco che evidenziava gli occhioni da cerbiatta, il grande sorriso aperto sui denti dritti e bianchissimi e la figura snella ed elegante, che ammiccava senza sbalordire per stravaganze e stranezze. Poteva essere la ragazza della porta accanto che ti stordiva con quella voce inimitabile che ha influenzato e ispirato intere generazioni di cantanti successive. Era cresciuta circondata dalla musica, figlia della cantante Cissy Houston, con la quale ha mosso i primi passi, e cugina di Dionne e Dee Dee Warwick.

Dopo quei video degli anni Ottanta, I will I know e I Wanna Dance with Somebody (Who Loves Me) in cui appariva fasciata da tubini aderenti secondo la moda del momento, la strada si era fatta sempre più scintillante, e lei era diventata una vera regina, sempre più sofisticata ed elegante nel look, musicalmente spaziando dal gospel e soul fino ai più disparati generi, potendo osare l’impossibile con una voce tecnicamente definita di petto, in grado di arrivare su alte vette di note acute irraggiungibili, corposa ma cristallina, forse la più pura tra le voci afroamericane, perfetta e senza alcuna incrinatura, con la quale cantava con leggerezza e naturalezza, come se fosse la cosa più semplice del mondo e lei stesse sotto la doccia.

Un percorso fatto di grande professionalità, morigeratezza e affidabilità, fino al momento in cui si perse per strada quando il matrimonio con il cantante Bobby Brown si trasformò in una trappola che dalla fulgida ascesa la portò a un triste declino, fino al punto da doversi ritirare artisticamente per due anni, riprendendo la carriera successivamente dopo il divorzio del 2006, per poi finire il suo viaggio in una camera d’albergo, uccisa da diverse cause concomitanti, in circostanze avvolte ancora da qualche oscurità.

Da quell’unione era nata Bobbi Kristina, che sin da piccola aveva vissuto nella musica dei genitori così come nei problemi di violenza e droghe degli stessi, e che purtroppo incappò in un destino analogo a quello della madre, morendo qualche anno dopo, in seguito all’annegamento nella vasca da bagno, intossicata dalle droghe.

Alla cerimonia d’addio alla popstar nel febbraio del 2012, in presenza tra gli altri della stessa Kristina, un emozionato Kevin Kostner, suo partner nel film del 1992 Guardia del corpo, tenne un lungo e toccante discorso, partendo dalle comuni origini che entrambi avevano condiviso, e cioè essere cresciuti nella chiesa battista. L’attore raccontò di averla fortemente voluta al suo fianco nel ruolo di protagonista in quel film, basato su una vecchia sceneggiatura di Lawrence Kasdan (pensata nel 1976 per un film con Diana Ross nel ruolo femminile e mai realizzata), andando contro alle iniziali remore della produzione, che forse avrebbe preferito una cantante che avesse già esperienza come attrice, e come invece le sue insistenze portarono ad aspettarla per un anno dopo il suo tour, sottoponendola poi a un vero provino. Lei era spaventata, lui la tenne all’oscuro che si trattava di un provino formale, e che comunque fossero andate le cose avrebbe trovato il modo di averla sul set.

La pop star più grande del mondo aveva paura di non essere all’altezza. Kevin stringendole le mani la rassicurò che le sarebbe stato accanto lungo tutto il percorso. Durante una pausa di venti minuti durante la quale Kostner pensava che lei stesse pregando, la Houston aveva cambiato il trucco di scena sostituendolo con quello più pesante che utilizzava nei suoi video, ma le si sciolse subito sotto ai riflettori e dovettero interrompere il provino. ‘Sembrava triste e piccola in quel momento’. Lui le chiese perché l’avesse fatto e lei rispose che voleva essere al meglio. Kevin Kostner si sofferma a questo punto sulla fragilità, sui dubbi e le paure che molte celebrità, lui compreso, hanno. Le disse di fidarsi di lui. Tornati sul set il provino andò benissimo e Whitney Houston incantò e conquistò tutti. E mai scelta fu più giusta. Il film la consacrò anche come attrice e la colonna sonora diventò la più venduta di tutti i tempi.

‘La Whitney che conoscevo nonostante il successo e la fama mondiale si chiedeva ancora: Sono all’altezza? Sono abbastanza carina? Piacerò? Fu questo fardello a renderla grande e fu questo a farla inciampare’ disse ancora Kostner. E così dieci anni fa siamo stati privati del formidabile talento di Whitney Houston, per un cortocircuito che ha investito la sua sensibilità sottraendo la donna alla vita ma lasciando, per sempre immortale, l’artista alla musica.

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