L’Europa scommette sui microchip fatti in casa e lancia un piano da quasi 50 miliardi di euro per ridurre la dipendenza dai giganti asiatici. Dopo mesi di attesa, martedì Bruxelles svelerà in dettaglio il contenuto dello European Chips Act, il progetto di legge per spingere la produzione europea dei semiconduttori portandola dal 10% su scala globale di oggi al 20% entro la fine del decennio. Un piano che, nelle intenzioni, punta alla sovranità strategica europea, riducendo il rischio delle strozzature nella filiera che negli ultimi mesi hanno fatto soffrire molti settori a partire dall’automotive. Con la domanda mondiale di chip destinata a raddoppiare nei prossimi otto anni e le crescenti incertezze sul piano geopolitico, l’Europa cerca di entrare con le potenze globali. Servono soldi, impianti e nuove regole commerciali. Tutti elementi inseriti nel maxi-piano che sarà presentato martedì dal commissario europeo per l’Industria, Thierry Breton. Si parte dai finanziamenti: 12 miliardi di euro di fondi pubblici (sei dal bilancio comune e sei dai governi nazionali) per la ricerca e lo sviluppo. A cui si aggiungono oltre 30 miliardi di euro già previsti nei Pnrr e bilanci nazionali, e poi ancora un fondo da 5 miliardi di euro dedicato alle start-up.

La priorità è quella di intensificare la produzione per avere un’alternativa alle forniture asiatiche. L’idea è di procedere con la creazione di ‘Mega fab’ sul territorio europeo da finanziare con ingenti sovvenzioni pubbliche. Al pari dei cosiddetti Ipcei, i progetti di interesse comune europeo che uniscono più Stati membri per dare vita a campioni industriali in grado di competere con le grandi multinazionali asiatiche e americane. Da notare che l’Italia era in lizza per la costruzione di uno stabilimento del gruppo Usa Intel: il ministro dello Sviluppo Giancarlo Giorgetti si era detto sicuro che Mirafiori avesse tutte le caratteristiche necessarie. Ma stando alle ultime indiscrezioni alla fine l’investimento sarà in Germania: come scritto da Repubblica, la Penisola può sperare solo in un polo secondario o di imballaggio.

Nel Chips Act ci saranno novità e istruzioni anche riguardo alle regole sugli aiuti di Stato. Allentarle non sarà semplice. Nei mesi scorsi Bruxelles ha già acconsentito ad alcune eccezioni per i settori strategici, chip compresi. Ma la commissaria alla concorrenza Ue, la danese Margrethe Vestager, è stata chiara: bisogna evitare una corsa ai sussidi all’interno dell’Ue che penalizzerebbe i Paesi più piccoli.

Occorrerà poi adattare la politica commerciale. Non si tratta di “protezionismo” ma di essere “realisti“, aveva precisato nei giorni scorsi Breton. Di fatto, il modello potrebbe essere quello usato per assicurarsi l’approvvigionamento dei vaccini un anno fa. “L’obiettivo dell’Europa sarà di stabilire un approccio cooperativo” con i rivali principali nel settore, come Taiwan, Singapore, Giappone, Corea del sud e Stati Uniti. Tuttavia, si legge nella bozza del regolamento, “l’Ue dovrebbe essere preparata a un fallimento” della cooperazione, “a un cambiamento improvviso della situazione politica o a crisi impreviste“. Tutte eventualità che, è il ragionamento di Bruxelles, non possono mettere in ginocchio l’intera industria europea. Per questo, l’esecutivo propone di introdurre un meccanismo di autorizzazione delle esportazioni, da attivare in caso di crisi, per bloccare l’export di microchip e componenti in determinate circostanze.

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