Non era facile unire i pezzi di un puzzle della maggioranza di governo più eterogenea della storia repubblicana. Il M5s, con il suo presidente Giuseppe Conte, sin dall’inizio ha cercato di volare alto, cercando il dialogo con le altre forze politiche, sottolineando l’importanza di convergere verso una figura di alto profilo, in grado rappresentare con disciplina e onore tutti i cittadini. Mai si è pensato da parte nostra di usare questa importante elezione in maniera strumentale, per piantare una “bandierina”, per riceverne un tornaconto elettorale.

Questa postura non è stata la medesima della destra e questo si è evinto da subito. Il centrodestra, invece di dialogare con il fronte progressista e individuare insieme un profilo autorevole, condiviso da tutti, ha imposto il leader politico più divisivo: Silvio Berlusconi. Una candidatura studiata e sponsorizzata da tempo dai giornali di proprietà della famiglia Berlusconi che hanno speso fiumi di parole e inchiostro celando sempre la condanna per frode fiscale, le inadeguatezze morali e persino la sentenza dei giudici della Corte di Cassazione che affermano che Berlusconi ha pagato la mafia per anni. Sarebbe stato davvero inconcepibile che un pregiudicato diventasse (come previsto dalla Costituzione) anche il presidente del Consiglio superiore della magistratura.

Sventata questa opzione il centrodestra guidato da Matteo Salvini ha tentato di imporre addirittura la seconda carica dello Stato: Maria Elisabetta Alberti Casellati. Un altro errore di metodo e di merito.

In un momento così delicato, di contrapposizione, usare la presidente del Senato è stato uno sfregio alle istituzioni. Ma l’errore è anche nel merito: Casellati è chiaramente espressione di una sola parte, dato che è cofondatrice di Forza Italia, che ha sostenuto il presidente Berlusconi difendendo le sue leggi ad personam e persino partecipando “all’occupazione” del tribunale di Milano, dopo lo scandalo di Ruby nipote di Mubarak. Per non parlare della disinvoltura nell’uso dei voli di Stato ad uso privato e la difesa dei privilegi della casta. Dopo aver fallito la candidatura di Berlusconi, Salvini ha infranto anche il sogno della Casellati di diventare presidente della Repubblica e forse sarebbe auspicabile che quest’ultima, che inopportunamente ha partecipato allo spoglio auspicando che prevalesse il suo nome, si dimettesse da presidente del Senato dopo lo smacco riservato alla seconda carica dello Stato.

Dopo un accordo parziale sul nome di una donna (si era ipotizzato quello di Elisabetta Belloni, ma anche Paola Severino) Salvini nella sua foga di perseverare nell’essere incoronato “king maker”, si è precipitato dai giornalisti sostenendo che ci sarebbe stato un presidente donna. Di fatto incenerendo questa opzione e con essa il desiderio del M5s di aprire questa finestra di novità su di un nome di valore.

Il Parlamento dopo queste fughe in avanti e puerili lotte correntizie, era diventato una maionese impazzita. Lo si evinceva dai “capannelli” che si formavano in Transatlantico, dalle facce confuse e infreddolite dei grandi elettori. La scelta di chiedere a Sergio Mattarella di continuare a garantire unità e moralità era l’unica possibile dinanzi alle difficoltà di interloquire in maniera alta, per il bene comune.

Il M5s con i suoi 234 elettori sui 1009 totali, poteva incidere con circa il 23% all’elezione del presidente. In molti ignorano i numeri e forse anche alcuni articoli della Costituzione, di certo ora si dovranno ricredere in tanti (soprattutto alcuni agguerriti fuoriusciti) che da tempo sostengono che il M5s avrebbe optato per la scelta più di comodo e più sponsorizzata dai mass media italiani e internazionali: Mario Draghi. La nostra posizione è sempre stata trasparente: quest’ultimo è stato indicato per aiutare il Paese a superare la crisi sanitaria ed economica da palazzo Chigi e non dal Quirinale.

Ora il Quirinale, dati i pericoli scampati, continua ad essere, con Sergio Mattarella, una garanzia per tutti. Il Paese vive ancora una gravissima crisi sanitaria ed economica, non c’è tempo da perdere: la politica deve correre e fornire risposte; questa è l’unico obiettivo che ogni forza politica dovrebbe sempre perseguire.

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