Due settimane fa è stato pubblicato in questo sito il post di Italia Nostra nazionale, in cui l’autorevole associazione denunciava uno scempio in corso d’opera, perpetrato dalla coppia di devastatori del bene pubblico Giovanni Toti e Marco Bucci, rispettivamente presidente di Regione Liguria e sindaco di Genova. Nel caso in questione, in combutta con l’ex presidente degli industriali e (ahimè) il vescovo insediato da Bergoglio. Si tratta dello storico ospedale Galliera nel centro genovese e lascito ottocentesco dell’omonima duchessa, esempio di straordinaria modernità nella concezione della cura immergendo l’edificio in un meraviglioso contesto verde.

Il tutto da inscatolare – secondo i succitati demolitori al seguito della speculazione immobiliare – in “un nuovo manufatto a forma di monoblocco che incomberà sul corpo monumentale vincolato, saturando l’area circostante e impedendo la visuale”. A scapito non solo degli equilibri nella vivibilità di quartiere ma anche della fruibilità in termini di cura: i posti letto passano da 1.200 a 400 e le televisioni locali ci ammanniscono sistematicamente i video delle file di autolettighe in attesa, ore e ore, di poter scaricare i malati per intasamento dell’accoglienza causa lavori di ristrutturazione già avviati dagli imperturbabili e pervicaci amministratori.

Al quadro di Italia Nostra non ho nulla da aggiungere. Semmai – da genovese – vorrei fare qualche considerazione di metodo e di criteri generali. Riguardo soprattutto alla strana coppia Toti-Bucci. Se il primo è il solito venditore di fumo (vulgo comunicatore) di stampo berlusconiano, con una forte propensione all’affarismo (vedi i finanziatori della sua Fondazione Change), il primo cittadino genovese è un oltranzista cattolico in fregola permanente di redimere i concittadini. Tratto caratteriale acuito dalla vicenda commissariamento del ponte Morandi in cui l’ostentatività del fare è diventata parossismo che travolge ogni ostacolo procedurale e di controllo (il metodo Genova). Difatti ora teorizza la sua idea di efficienza come fretta, dichiarando che “una decisione sbagliata è sempre meglio che non decidere”. Ciò significa andare avanti nel progetto Galliera nonostante le sentenze contrarie del Tar, spostare i depositi chimici altamente infiammabili a due passi dal centro di Sampierdarena, nonostante gli abitanti del quartiere minaccino l’insurrezione.

Ma c’è del metodo in questa follia con pretese salvifiche di un fanatico impancato a Torquemada. Che dal punto di vista valoriale recepisce i rigurgiti para-fascistoidi di ritorno in quest’epoca retroversa. Per cui nella cultura della fretta riecheggia il mussoliniano “amare la velocità, amare le donne, amare le donne in velocità” (e resta da appurare con quale soddisfazione femminile per questa performance frettolosa). Il fare per il fare è puro vitalismo alla Henri Bergson, uno dei componenti nell’ambiguo cocktail dell’irrazionalismo reazionario primo novecentesco (asse Nietzsche-Sorel-Spengler-Bergson).

Il tocco di modernità, tratto dalla peggiore Seconda Repubblica, è il marchingegno per mettere a tacere la voce della pubblica opinione che protesta: trascinarla in estenuanti ludi cartacei attraverso i quali prosciugarne i mezzi finanziari, a fronte del pozzo senza fondo del convitato pubblico che attinge dalle tasche di Pantalone. Ad esempio, il comitato pro Galliera degli abitanti del quartiere di Carignano si sta autotassando da almeno dieci anni e forse non ce la farà a continuare, nell’opera di tutela dell’interesse generale, per carenza di risorse materiali. A riprova che il più delle volte è il Golia istituzione pubblica a vincere sul comitato civico.

Così l’istituzione Golia, ispirata dalla luce nel cielo delle grandi opere di stampo speculativo, può coltivare indisturbata quegli affarucci che smentirebbero l’aura salvifica della loro pervicace testardaggine nell’andare avanti a realizzare progetti che il sentire collettivo percepisce perseguiti contro di lui (tanto che si evita con cura la verifica rappresentata da consultazioni pubbliche tipo VAS).

Per cui il dopo Ponte Morandi è affidato all’architetto amico degli amici Renzo Piano, che lo disegna bruttarello e solo a due corsie per rendere indispensabile una seconda opera (la cosiddetta Gronda), magari da affidare a un’altra archistar – tipo Calatrava – per tacitarne le furie di non aver potuto partecipare alla gara internazionale secondo le normali pratiche europee; mentre dal punto di vista costruttivo, gli esperti di settore segnalano il rischio incombente che la fretta abbia ridotto nel tempo la vita del manufatto su cui aleggia il cosiddetto “cancro del cemento armato”. Nel dopo ospedale Galliera si prospetta l’incombere di abitazioni di lusso e parcheggi vari. Per i depositi chimici vicini ai centri abitati si parla di scelta vassallatica per obbedire ai diktat di qualche immobiliarista con interessi logistici. Timeo Bucci (o Piano) et dona ferentes.

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