Il 27 dicembre 2021 segna un anno esatto dalla partenza della corsa vaccinale che si è assai caratterizzata per alternanti illusioni e disillusioni collettive. Un’oscillazione che da una parte ha incrinato precari equilibri psicologici e sociali, dall’altra – e forse per la prima volta – ha mostrato la Scienza nella sua autentica natura empirica e probabilistica. Quindi tutt’altro che certa ed oggettiva, come erroneamente percepito dalla cultura diffusa. La probabilità è infatti categoria inaccettabile per il mondo mediatico della semplificazione estrema, della dicotomia vero-falso, menzogna-verità. Ma la Scienza, se così si potesse esprimere, perderebbe il suo statuto per diventare fede, religione, magia. Ed è proprio questa discrepanza tra ideale immaginifico e realtà che ha fatto problema.

A primavera del 2020 chiusi dal lockdown si cantava dai balconi delle proprie case e si proclamava che “tutto andrà bene”, quasi come il popolo manzoniano che confidava soltanto nella provvidenza divina per uscire dall’epidemia della peste, manifestatasi poi nella pioggia salvifica. Ma dopo la pausa estiva che aveva acceso la speranza che il virus fosse “clinicamente morto”, come proclamò anche qualche autorevole “voce dal sen fuggita”, giunse l’autunno a far risalire la curva dei contagi e l’illusione cadde, per riaccendersi però immediatamente dopo con l’annuncio che il miracolo del vaccino era ormai a portata di mano. L’aspettativa, più o meno irrazionale, era che questo sarebbe stato il rimedio radicale e definitivo dal male. Subito però si profilarono le prime nubi all’orizzonte. Il vaccino, uno e trino (Astrazeneca, Pfizer e Moderna), benché uscito dalla sua fase sperimentale per entrare in quella della farmacovigilanza, cioè dell’osservazione epidemiologica prospettica su ampia scala spaziale e temporale che sola consente di apprezzare effetti collaterali di particolare rarità, comincia ad insinuare qualche dubbio sulla propria sicurezza. Ogni morto vaccinato segnalato con enfasi dai media diventa un morto da vaccino. E gli organismi nazionali ed internazionali (Ema e Aifa), garanti della sicurezza e dell’efficacia dei farmaci, appaiono francamente pilateschi nelle loro dichiarazioni e quindi poco credibili in circostanze tanto emotive.

Inevitabili il timore e il panico in alcune fasce della popolazione, che mostra uno zoccolo duro resistente ad ogni invito a vaccinarsi. Intanto gli esperti, catturati dalla tentacolare macchina mediatica, disquisiscono anche vivacemente tra loro come fossero da soli e non davanti a milioni di spettatori culturalmente non attrezzati a cogliere le posizioni del contendere che potevano apparire molto più divergenti di quanto fossero in realtà. A questo punto l’opinione pubblica si divarica in una netta maggioranza che si schiera con la Scienza e una minoranza non irrilevante di scettici che cominciano a mettere in discussione l’opportunità di vaccinarsi a favore di scelte che vanno dalla enunciazione di rimedi alternativi, non supportati da alcuna evidenza scientifica che vedono caduta in disgrazia, ad una vera e propria negazione dell’epidemia.

Nonostante tutto, la campagna vaccinale procede bene e l’Italia si colloca al top della lotta al virus. Ma già nell’estate del 2021 giungono da Paesi, che prima di noi avevano iniziato la campagna vaccinale, notizie infelici. Pare proprio che due dosi non bastino più, appare necessario un terzo richiamo, perché il virus, sollecitato a mutare da una altrove tollerata diffusione dell’infezione (variante indiana o Delta), riesce a bucare la copertura vaccinale, non tanto nella protezione contro gli effetti più gravi che rendono necessaria l’ospedalizzazione, quanto nella capacità d’impedire l’infezione. Magra consolazione però, perché se questa dilaga aumenta inevitabilmente anche la platea catturabile dei soggetti suscettibili al Covid costituita dai non vaccinati per scelta, per malattia e per indisponibilità temporanea di vaccino, che ha appena concluso la sua sperimentazione nella popolazione infantile.

Alla strategia di anticipare subito la terza dose, si antepone, e non si aggiunge, quella di contrastare la diffusione dell’infezione. L’attenzione non può che cadere sui non vaccinati per scelta, che diventano i noti “no-vax”. Cominciano le prime restrizioni per frequentare alcuni ambienti chiusi, compresi quelli di lavoro. Nasce il “green pass” che consente come alternativa alla vaccinazione l’effettuazione di un tampone che però, a causa della brevità del suo potere informativo sull’assenza d’infezione, implica di essere ripetuto più volte alla settimana. L’obbligatorietà vaccinale viene riservata soltanto ad alcune categorie di lavoratori, dapprima del comparto sanità e solo successivamente della scuola e della sicurezza.

Il cerchio si stringe e l’intolleranza verso le restrizioni delle libertà individuali amplifica la propria adesione a fronte dei percepiti insuccessi della Scienza, che sembra inerme di fronte ad un nemico sempre in grado di superare agevolmente trincee erette di volta in volta a propria difesa e di seminare comunque vittime, insieme ad un’ansia che si fa progressivamente angoscia. A nulla servono i richiami del Comitato Tecnico Scientifico e dell’Istituto Superiore di Sanità sul fatto che il rischio di morte per un non-vaccinato rimane, nonostante i limiti dello stesso vaccino, estremamente più elevato di un vaccinato con tre o anche due dosi, parimenti al rischio d’infettare che nei vaccinati si manifesta soltanto in rare e strette finestre temporali. Differenze quantitative rilevanti che però non riescono a fare breccia non solo nel muro dei negazionisti, ma anche degli scettici.

Si scatena la competizione, sempre rimasta più o meno latente, tra i cosiddetti beni primari, quali salute, lavoro e autodeterminazione dell’individuo. Tutto questo non può non coinvolgere e contrapporre le forze politiche che si dividono a seconda che si anteponga o meno il bene dell’individuo a quello della comunità. Con qualche eccezione da parte di noti intellettuali, insofferenti a rimanere confinati nei ranghi di un’acritica omologazione in odore di sudditanza, nonché di qualche nutrita schiera di sinceri disorientati, si ripropone la divaricazione storica tra Destra e Sinistra che ingenuamente si riteneva superata. Gli scontri di piazza non lasciano dubbi, in Italia, come in Europa, negli Stati Uniti e in America Latina.

Ad alimentare il clima negativo che sembra mettere all’angolo la Scienza, i dubbi sulla nuova variante Omicron, che questa volta si teme possa bucare completamente ogni copertura vaccinale al momento disponibile. I risultati non sono ancora definitivi, ma l’allarme è sufficiente a mandare in fibrillazione anche i mercati finanziari con tutto ciò che ne consegue sulla ripresa economica, sull’occupazione e quindi sulla stessa salute.

Certo, molte contraddizioni ed errori avrebbero potuto essere evitati e danni di varia natura risultare contenuti, ma forse il più grande di tutti è stato quello di non aver curato nel tempo una cultura scientifica, nel nostro Paese in particolare, che non può essere confinata alle cosiddette discipline scientifiche in senso stretto ma a tutte le branche della conoscenza (compresa la storia delle guerre puniche…) che quanto più si accresce tanto più si mostra nella sua interconnessione unitaria. Una conoscenza che metodologicamente rinuncia alla certezza e alle verità definitive, come dimostra inequivocabilmente il suo percorso storico caratterizzato da continui cambiamenti dei propri paradigmi. Così ci ha insegnato il filosofo della scienza Thomas Kuhn, che si è interrogato sulle strutture della Scienza intrinsecamente condizionata da fattori extra-scientifici che la sottraggono ad ogni assolutezza di verità.

La Scienza, o conoScienza, rimane comunque l’unica bussola a disposizione di quegli animali privi della guida predeterminata dell’istinto che si chiamano umanità, ma della quale è necessario riconoscere laicamente i limiti proprio per rendere più accettabili le scelte che da essa derivano. Quindi un gesto di fiera umiltà e di coraggiosa consapevolezza che può salvarci dalla deriva oscurantista cui purtroppo prestiamo il fianco.

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