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La ‘scimmia annoiata’ venduta per errore: le criptovalute e il business dei cartoons fighetti

La ‘scimmia annoiata’ venduta per errore: le criptovalute e il business dei cartoons fighetti
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È notizia di questi giorni la sfortunata avventura del venditore di Non-fungible token (NFT) che per un errore di digitazione ha ceduto la sua preziosissima “Bored Ape” per tremila dollari anziché trecentomila. Subito arraffata da un bot lì pronto a scovare occasioni, il malcapitato non ha avuto neppure il tempo di salutarla che la scimmia digitale era già tornata su piazza ma in mano altrui. Questa volta proposta alla modica cifra di 250mila dollari. Prezzi da capogiro per un’immaginetta che, per quanto simpatica, resta pur sempre immateriale.

Ma è così che funziona, il meraviglioso mondo (o meglio mercato) dei non fungible token. Egemonizzato da un manipolo di metacollezionisti spendaccioni – per chi ancora non lo conoscesse – si basa sulla compravendita di oggetti digitali unici, autenticati tramite blockchain. Un sistema simile a quello delle criptovalute per smerciare veri e propri asset finanziari. Che siano i celeberrimi e milionari CryptoPunks, personaggi pixellati stile 8 bit in circolazione dal 2017, o dei buffi primati antropomorfi in edizione limitata, contribuiscono a generare un insospettabile giro d’affari divenuto miliardario.

Posseduti e poi scambiati come figurine Panini, quelli che sembrano degli stupidi cartoons (e forse lo sono) regalano ai più fortunati guadagni facili, prestigio e status. Ad esempio l’acquisto di uno dei 10mila esemplari di “Bored Ape”, tutti rigorosamente diversi e distinguibili per abbigliamento, espressione e accessori, garantisce anche l’ammissione a uno speciale club. Riunitosi giusto di recente, in carne e ossa, per far festa su uno yacht a largo di Manhattan. A bordo ci sale chi specula, chi gioca (come Jimmy Fallon che ne ha da poco acquistata una) e chi ci crede. Ma in cosa può dirsi innovativo il commercio di una scimmia dorata virtuale da 3,4 milioni di dollari, aldilà dell’inedita tecnologia di cui ci si serve, nessuno lo sa.

Fossero green almeno questi NFT, invece inquinano e pure parecchio. L’attività di “mining”, infatti, che sia per una moneta o per una scimmietta implica sempre un dispendio di energia non indifferente. Basti pensare che le emissioni annuali provocate dall’estrazione dei soli Bitcoin equivalgono a quelle prodotte da intere nazioni come Giordania o Sri Lanka.

Un’opportunità, l’evoluzione del mercato dell’arte come in tanti pensano, o soltanto l’ultima frontiera dell’essere ricchi e cool, l’ennesimo trionfo dell’esclusività, del privilegio più insulso. Solo il tempo può dirlo, ma il sospetto c’è ed è forte.

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