Un Macbeth cinematografico, contemporaneo. Anche un po’ fantascientifico? “No No No. Non cominciamo a inventare”, sorride Davide Livermore. E puntualizza: “La parola esatta è distopico”. Il regista che inaugura stasera, 7 dicembre giorno di San’Ambrogio, la stagione della Scala con il Macbeth di Giuseppe Verdi diretto da Riccardo Chailly, si è ispirato al film Inception di Christopher Nolan. Un film distopico. Un thriller ambientato nelle architetture della mente. Labirintiche, stratificate, inserite l’una nell’altra come scatole cinesi. Distopia è un’utopia al negativo. Al mondo perfetto e ideale la distopia ne contrappone uno indesiderabile e spaventoso, con situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali in cui non avremmo mai pensato di precipitare. Eppure, a guardarle da spettatori, queste architetture della mente dove il nostro io si perde, sembrano lineari e quasi matematiche.

Nelle sfarzose sale del palazzo di Macbeth e Lady si accumulano i simboli del potere, di cui fanno parte ricche collezioni d’arte, spesso con allusioni e omaggi ad artisti reali. Tra questi la statua di una pantera in cui si riflette la natura ferina di Lady. “Lavorare per la contemporaneità – spiega Livermore – per me significa restituire il senso rivoluzionario e tuonante di un’opera: alla musica di Verdi, alla narrazione di Shakespeare, al libretto di Piave. Il progetto parla all’oggi, racconta la scalata al potere attraverso il sangue. E il pubblico vedrà la storia di Shakespeare, ascolterà le voci dei grandi cantanti (protagonisti Luca Salsi, Anna Netrebko, Francesco Meli, Ildar Abdrazakov), sentirà la musica di Verdi, si unirà ai grandi momenti corali, seguirà le parole di Piave”. Ma sarà anche rapito dai cristalli, dalle vetrate, dagli spazi del potere che caratterizzano l’allestimento. Dalle proiezioni ed effetti. Un garage è l’Inferno dell’animo. La sua solitudine e la sua trappola. “Le ambizioni umane di ieri sono le stesse di oggi. Le fragilità umane non cambiano mai“, aggiunge.

La sua trasposizione dell’opera nasce da una domanda necessaria: per quale società Verdi scrive Macbeth? Per una società in lotta per i diritti sociali e in cerca di unità nazionale. “Non andiamo a teatro per vedere una ricostruzione storica, ma per essere toccati nel vivo del nostro presente”, spiega. “Macbeth è teatro politico, che risveglia la coscienza dell’uomo e la scuote. Cosa significa oggi Patria oppressa?”.

Per i melomani più tradizionalisti, concentrati soprattutto sugli interpreti vocali e sul direttore d’orchestra, quelli che prediligono una messa in scena il più aderente possibile a quanto ideato dal compositore e dai librettisti questo Macbeth sarà spiazzante. Il teatro di regia toglie il primato al versante musicale. Il mondo visto attraverso la mente del tiranno Macbeth è a tutti i livelli della regia. Per rappresentare una società contemporanea distorta, dove regna la logica del profitto, ecco che la distorsione si traduce anche in manipolazione prospettica degli spazi: skyline rovesciati ed effetti-incubo, però seducenti come sogni che mutano in tempo reale.

“Il nostro (qui il regista fa riferimento alla sua squadra: Giò Forma per le scene, Gianluca Falaschi per i costumi, D-Wok per la parte video, Antonio Castro per le luci, ndr) è un linguaggio che invade la scena e la trasforma in un set cinematografico”. David Livermore attinge da più fonti per realizzare i suoi spettacoli. Dal mondo del rock a quello dello sport, dal cinema ai fumetti. Su uno dei suoi profili social, in un post, consiglia fra le letture i fumetti di Parker: “Lì la forma visiva di molte mie opere”. Nel caso del Macbeth di Verdi è il cinema a fare da ispirazione. Distopico.

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