Frank Zappa è una delle poche figure artistiche del Novecento musicale per cui l’abusatissima definizione di “genio” non appare enfatica. Eclettico, imprevedibile, infaticabilmente prolifico (ha pubblicato in vita 62 dischi e, dopo la sua scomparsa nel 1993, ne sono usciti oltre cinquanta), Zappa ha rappresentato lo sberleffo trionfante dell’intelligenza nei confronti dell’ipocrisia americana.

Talmente anticonformista da schernire anche l’anticonformismo di facciata (nei suoi primi dischi mentre denunciava le violenze della polizia contro gli hippie, derideva anche l’inconsistenza ideologica di questi ultimi), Zappa appartiene a quella schiera di intellettuali in grado di vedere con lucido anticipo le derive più inquietanti della società a loro contemporanea: andatevi a rileggere il testo di I’m the Slime, del 1973, e ne riparliamo.

Un compositore capace di parodiare, nello stesso brano – Brown Shoes don’t make it – sia Stravinskij che Jim Morrison, di creare complicatissime partiture per orchestra classica, quasi irriproducibili dal vivo, e brani di un’irresistibile sconcezza goliardica, un baluardo culturale contro le barriere più ottuse della censura bigotta e della sottomissione alla logica del profitto.

A cinquant’anni da uno dei suoi concerti più memorabili, immortalato nell’album dal vivo Fillmore East – June 1971, – spettacolare album live del gruppo The Mothers of Invention, che vede anche la partecipazione di John Lennon e Yoko Ono – due omaggi ne celebrano la grandezza.

In primo luogo, fino al 17 novembre è possibile vedere nelle sale, distribuito da Nexo Digital, il bel documentario di Alex Winter, Zappa, primo film realizzato potendo accedere all’immenso archivio della famiglia del musicista statunitense. Il documentario, impreziosito da diverse testimonianza di importanti musicisti che hanno collaborato con Zappa (da Steve Vai a membri originali dei The Mothers of Invention) insiste molto sulla potente ossessione creativa dell’artista, proverbialmente perfezionista e dispoticamente esigente con i suoi collaboratori ma, allo stesso tempo, primo esempio di dedizione totale all’ispirazione musicale.

Inoltre, la musica del compositore dalle radici italiane sarà protagonista della diciottesima edizione del Rome Chamber Music. I quattro concerti del 21, 23, 24, 25 novembre all’Auditorium della Conciliazione a Roma, e per la prima volta in una data speciale al Salone dei Cinquecento in Piazza della Signoria a Firenze il 22 novembre, infatti, presenteranno al pubblico le opere di tre compositori: Ludwig Van Beethoven, Frank Zappa e Leonard Bernstein.

Se vi sembra un accostamento provocatorio, il direttore artistico e fondatore del festival, la star internazionale del violino Robert McDuffie, ha le idee molto chiare per svecchiare il mondo della musica classica: “Eseguire Zappa accanto a Beethoven e al mio vecchio amico Bernstein non è una provocazione. Zappa era un genio e voglio semplicemente presentare la sua musica, confermando la sua reputazione di artista geniale. Bisogna andare al di là di certe etichette. Per lo stesso motivo inserirò nel programma anche brani di hip hop, firmati ed eseguiti da Bob Lennon. Non si può continuare a suonare solo musica “morta” di bianchi europei, altrimenti la musica classica è destinata a diventare irrilevante. Dobbiamo connetterci alla cultura contemporanea in senso più vasto, non solo europea o americana, ma di diversi paesi, in senso pienamente internazionale. Dobbiamo rompere dei condizionamenti stagnanti che rendono arduo l’accesso alla musica classica. Sono il primo a voler eseguire un capolavoro come le Quattro Stagioni di Vivaldi, ma credo sia anche interessante confrontarlo con le American Four Seasons di Philip Glass (che furono composte dal maestro del minimalismo proprio per l’esecuzione di McDuffie, nda). La ripetizione costante delle solite orchestre che suonano soliti brani con i soliti assoli dai soliti musicisti nel solito modo per il solito pubblico è roba per quelli che Frank Zappa chiamava giustamente zombie della musica colta”.

Del resto, quest’ultimo non risparmiava nemmeno il mondo del giornalismo rock, da lui definito in una celebre sentenza: “Gente che non sa scrivere, che intervista gente che non sa parlare, per gente che non sa leggere”.

Dal progetto del Rome Chamber Music presentato da McDuffie (che coinvolgerà dieci maestri di chiara fama assieme a trenta giovani talenti) emerge una visione innovativa della divulgazione culturale, supportata da passione e competenza. Non possiamo che fare il tifo.

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