“Noi siamo qua per portare la voce di tutta la famiglia Silipo. Per dissociarci completamente da qualsiasi tipo di illegalità e di violenza. No alla violenza”. “E alla ‘ndrangheta?” chiediamo. “Non capisco questa battuta, perché se questa è una fiaccolata contro la ‘ndrangheta, qua c’è un errore. Perché deve essere una fiaccolata contro l’illegalità, perché la ‘ndrangheta in tutto questo non c’entra”.

A parlare sono i giovani cugini di Salvatore Silipo, il meccanico di 29 anni ucciso sabato 23 ottobre in provincia di Reggio Emilia con un colpo alla testa sparato da una 44 Magnum all’interno dell’officina Dante Gomme presso cui lavorava da anni. Silipo era il genero di Angelo Salvatore Cortese, ex componente del gruppo armato della ‘ndrangheta che rispondeva a Nicolino Grande Aracri e dal 2008 collaboratore di giustizia. Agli arresti per quell’omicidio è il titolare dell’azienda, Dante Sestito di 70 anni, che ha sparato dopo avere fatto inginocchiare Salvatore, secondo le prime ricostruzioni. I cugini di Silipo sono ragazzi e ragazze che partecipano alla fiaccolata promossa dall’amministrazione comunale di Cadelbosco Sopra, a nome di una comunità “scossa e travolta da questo omicidio di una violenza inaudita” dice il sindaco Luigi Bellaria. Che aggiunge: “Non si può restare silenti di fronte a simili episodi che violano le idee di giustizia, libertà, legalità”.

I cugini di Salvatore sono giovani che parlano con accento reggiano, presumibilmente nati e vissuti al nord; stringono tra le mani un cartello sul quale è disegnato un cuore a fianco della scritta “Giustizia per Salvatore” e nei pochi minuti che precedono la partenza della fiaccolata buttano fuori a voce alta il loro dolore: “Siamo ragazzi che lavoriamo, studiamo, e i genitori nostri ci hanno insegnato i valori della vita, ci hanno insegnato ad andarci a guadagnare il pane legalmente. Quindi Salvatore è morto ingiustamente per mano di un pazzo. Questa è una morte bianca. La ‘ndrangheta non esiste in questa storia”.

Anche il sindaco, in un breve saluto nella piazza centrale del paese dedicata a John Lennon, non parla mai di mafia e di ’ndrangheta, ma dice: “La nostra comunità non ha paura e non accetterà mai la violenza, da qualsiasi parte essa provenga”. Poi aggiunge il suo “personale profondo sconforto per la perdita di una giovane vita in modo così cruento”. Ad ascoltarlo ci sono quasi tutti i sindaci della provincia di Reggio Emilia con la fascia tricolore. Tra loro anche il vicesindaco di Maranello Mariaelena Mililli, coordinatrice regionale di Avviso Pubblico, l’associazione delle istituzioni nata per contrastare “il contropotere criminale che si oppone alla legalità democratica in vaste zone del Paese”. Una manifestazione che richiama quella dei giorni scorsi a Buccinasco, alla periferia di Milano, dove quaranta sindaci della città metropolitana hanno promosso un flash mob all’indomani dell’omicidio di Paolo Salvaggio, il narcotrafficante ucciso a colpi di pistola mentre era agli arresti domiciliari. Ma quella manifestazione aveva un titolo preciso: “Buccinasco contro le mafie”.

Questa di Cadelbosco è invece “contro la violenza”, perché le indagini sono in corso e in pochi si sbilanciano nonostante la preoccupazione palpabile anche nelle parole degli amministratori. Dice il presidente della Provincia Giorgio Zanni: “La dinamica di questo omicidio richiama ai metodi mafiosi. Si spostano le criticità e i settori di investimento in cui la malavita agisce ma non pensiamo che se ne sia andata con Aemilia. Non è assolutamente così e dobbiamo aggiornare le nostre spie”.

Gli fa eco il sindaco del comune capoluogo Luca Vecchi: “Occorre avere la consapevolezza che la mafia non è stata sconfitta. È giusto denunciare ogni violenza figlia di culture, mafiose o meno, che nulla hanno a che fare con i valori di questa terra”. Ma per realizzare questo obbiettivo, aggiunge, è necessaria una maggiore circolazione di informazioni: “Le pubbliche amministrazioni vanno messe in condizione di avere più strumenti per una efficace attività di prevenzione”. L’appello sembra rivolto alle forze dell’ordine e alla magistratura: “Le attività d’indagine che proseguono devono trovare modalità di collaborazione inter istituzionale per aiutare le amministrazioni ad essere sufficientemente reattive”. Enrico Bini, il sindaco di Castelnovo Monti che fu tra i primi a denunciare le infiltrazioni mafiose nell’autotrasporto in anni ormai lontani, taglia corto: “Siamo qui per rispondere a questo atto vile, compiuto con metodo mafioso, che va respinto. Bisogna alzare la guardia perché queste persone sono ancora qua che fanno i loro affari”.

La provincia di Reggio Emilia si scopre fragile e ancora permeabile, seduta sulle sentenze di Aemilia che hanno avuto il merito di isolare e condannare una potente associazione ‘ndranghetista senza però eliminare il problema. Lo testimoniano i numeri dei reati spia, a partire dalla valanga di incendi dolosi registrati in provincia negli ultimi due anni. L’ultimo, ad un furgone parcheggiato davanti ad un condominio, questa notte tra sabato 30 e domenica 31 ottobre nel comune di Fabbrico. Lo testimoniano le decine e decine di interdittive antimafia rilasciate della Prefettura nel medesimo periodo. Lo testimonia la violenza di questo omicidio/esecuzione avvenuto dentro alla officina Dante Gomme alla presenza di membri di entrambe le famiglie coinvolte.

Lunedì 25 ottobre, 48 ore dopo l’omicidio, un taxi con la fiancata sponsorizzata proprio da “Dante Gomme” di Cadelbosco Sopra, ha sostato davanti al Tribunale di Reggio Emilia, mentre in aula iniziava l’ennesima udienza nel rito ordinario del processo di mafia Grimilde. Potrà essere una coincidenza, ma quell’auto faceva un certo effetto. Come ha fatto effetto per tre anni vedere la rotonda stradale di accesso allo stesso Tribunale sponsorizzata da una azienda gastronomica colpita da interdittiva antimafia il cui titolare era a processo (ed è stato poi condannato) per tentata estorsione in Aemilia.

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