“Tagliate le poltrone a questi fantasisti e mandateli a lavorare”! Così la pensa sostanzialmente la gente qualunque quando vede passare le macchine blu dei potenti e si gira dall’altra parte per non farsi sfuggire qualche imprecazione o gesto ingiurioso. Altro che omofobi: in buona misura, e a ragione, gli italiani sono già in gran numero diventati “politofobi”! Non vanno più nemmeno a votare! Non ne possono più di questo modo assurdo nel quale certi politici sperano di aggirare i veri problemi della gente, quelli che fanno soffrire davvero la maggioranza della popolazione.

Cari politici, provate a mettervi qualche volta nei panni della gente qualunque, uno qualunque di quella maggioranza che ormai non vi vota più, o proprio non vota più per nessuno! Uno qualunque di quelli che qualche giorno fa ha sentito Enrico Letta gioire per la vittoria elettorale (in realtà non sua ma degli astensionisti), ritrovandolo però già ieri infuriato contro i “traditori” che hanno boicottato l’approvazione in Parlamento della legge Zan contro l’omofobia, le identità di genere, ecc.

Certamente una legge contro le discriminazioni di qualunque tipo è sempre una cosa buona, ho presentato anch’io una proposta di modifica legislativa contro la discriminazione che gli inquilini subiscono nei condomini sul piano dell’informativa, che dovrebbe essere uguale per tutti i residenti, anche se, sul piano decisionale, la scelta spetta ai proprietari. Essere discriminati non piace a nessuno, ma sul piano legislativo occorre scegliere con più attenzione le priorità.

È comprensibile che chi è benestante – o, meglio ancora, chi in qualche modo è riuscito a conquistare una poltrona nel Parlamento – abbia a cuore il dilemma suo o di chi non ha ancora realizzato in pieno le sue ansie di personalità o sessualità ma non vuole sentire apprezzamenti da altri qualunque sia la sua posizione o decisione. Tuttavia non è così per tutti. La maggioranza della popolazione italiana, pur facendo parte di una nazione considerata ricca, non è benestante e tantomeno ha una poltrona riservata in Parlamento. Cosa pensa ogni giorno questa categoria di persone? Alla propria identità di genere? Non credo proprio!

Pensa ad un domani che è sempre più incerto, spesso persino imperscrutabile. Pensa a quello che aveva ieri e che oggi non ha più, senza nessuna speranza di ritrovarlo. Chi ha questi pensieri sicuramente non riesce a dormire in modo esauriente. Ma anche chi ha ancora un lavoro ormai vive nel dubbio di perderlo perché la dirompente avanzata dell’automazione e della tecnologia sta spazzando via i milioni di posti di lavoro che si erano creati nel secolo scorso. Erano duri inizialmente quei lavori, ma davano una certezza del proprio futuro che ora si sta perdendo. E chi lo ha già perso vive una vera disperazione perché sa che, ormai, si sta spegnendo anche quel piccolo lumicino di speranza che poteva resisteva prima della pandemia.

Sono solo migliaia o sono milioni oggi quelli che pensano terrorizzati alla incertezza del domani?

La gran parte dei lavoratori comuni vive sapendo che persino alla vigilia di Natale (come è già successo da qualche parte) potrebbe arrivare una lettera, o anche una semplice email, che annuncia il licenziamento. Quelle quattro semplici righe, scritte da qualcuno che, per chi le riceve, è distante come una galassia, sono come una condanna a morte. Righe che cambiano l’intera vita. Che rendono superfluo o insignificante qualunque altro problema. Righe che gettano in un attimo qualunque persona, forse l’intera famiglia, nell’inferno della povertà e della totale incertezza non solo del presente ma anche del domani.

Il voto serve per liberare il cittadino qualunque dalla responsabilità di fare scelte competenti e guidare il paese in qualunque circostanza e, quindi, per risolvere i problemi reali della vita: la casa, la famiglia, il lavoro. La difesa dei diritti è sacrosanta, ma anche la democrazia è un diritto (finché è votata) e non è questo il momento buono per distrarsi.

Di una grande crisi in arrivo si parlava già anche prima di questa pandemia perché anche la rapidissima diffusione del Covid-19 è stata causata dalla globalizzazione. A questo devono pensare i politici in questa tremenda fase di riequilibrio da virus, da inquinamento e da globalizzazione.

Non è vero che il lavoro lo creano sole le imprese private. Lo creano, e molto più solido, anche quelle pubbliche, purché a governarle nelle scelte strategiche ci siano politici bravi e onesti, capaci davvero di mantenere quel giuramento che pronunciano quando entrano nel Parlamento. Su questi gravissimi problemi deve focalizzarsi ora l’attenzione e l’impegno dei politici, ogni altra divagazione deve essere rimandata, altrimenti la delusione dei cittadini metterà a rischio anche la democrazia.

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