Nessuna polemica, nessun tentativo di destabilizzare un ambiente, Dio me ne scansi e liberi!

Tutti conoscono la mia patologica passione per i colori azzurri e se, scaramanticamente, il silenzio ci portasse dritti verso il traguardo innominabile state certi che il prossimo post sul mio Napoli, e qualcuno sarebbe anche felice, lo rivedreste direttamente a maggio.

Ma analizzare, forse perché influenzato dal mio percorso professionale, un fenomeno con gli occhi di uno studioso della materia può semplicemente aprire lo spazio per un confronto diverso.

Il dato è inconfutabile: Insigne sbaglia troppi rigori. 3 errori su 5 (60%) questo anno e 9 su 41 complessivi (22%) anche in momenti decisivi. E non solo nel Napoli: sarà un caso che Mancini, nella semifinale e finale degli ultimi Europei di calcio, non lo ha lasciato in campo per i rigori?

La soluzione ai problemi di Insigne potrebbe trovarsi nelle parole del dottor Geir Jordet, ex calciatore di seconda divisione norvegese, studioso di psicologia dello sport alla Scuola norvegese di Scienze Sportive, astro nascente della psicologia sportiva fondata sui dati, che ha analizzato per anni migliaia di rigori e rigoristi tracciando in diversi articoli accademici le dinamiche di ansia e stress che hanno investito i giocatori nel momento di calciare il rigore.

Jordet ha passato tre anni a cercare il rigore perfetto, ha provato a capire quale fosse il numero di passi ideali per una rincorsa, se sia meglio calciare nella parte alta o bassa della porta, se convenga puntare sulla potenza o sulla precisione e non ha riscontrato risultati significativi. È arrivato alla conclusione che le variabili determinanti sono quelle attinenti la gestione della pressione e la capacità di affrontare lo stress.

A tal proposito Jordet ha suddiviso le fasi che precedono il tiro dal dischetto e quelle che susseguono ad un errore:

La consapevolezza di essere il rigorista: i giocatori si sentono più a loro agio se gli viene comunicato (anche pubblicamente) di essere il rigorista perché non amano le sorprese, né che i compagni si tirino indietro o avanzino proposte di tiro all’ultimo momento. Ottimo, quindi, l’intervento di Spalletti che, a fine partita, da saggio gestore delle risorse umane, ha ribadito che “il prossimo rigore lo tirerà Insigne, poi Lorenzo e poi il capitano”.

Il tragitto verso il dischetto: la solitudine dell’avvicinamento al dischetto richiede meccanismi mentali di compensazione. Ad esempio, è noto che che lo stress diminuisce se si stinge qualcosa in mano ed Insigne ha sempre l’abitudine di andare subito a recuperare il pallone e giocherellarci un po’, facendolo roteare tra le mani. Insigne, di solito, si fa “comandare” dall’arbitro sui tempi di gestione del pallone tra le mani e quindi aumenta, secondo quanto sostenuto da Jordet, l’accumulo dello stress.

Il momento prima del tiro: quale è il modo migliore di rapportarsi al portiere con il linguaggio del corpo? Gli studi al riguardo hanno dimostrato che sono maggiori gli errori di chi offre le spalle al portiere, senza guardarlo negli occhi, perché denota una classica strategia evasiva cosi come maggiori sono le percentuali di realizzazione dei rigoristi che si prendono tutto il tempo necessario dopo il fischio dell’arbitro perché si evita di cadere nell’errore che fanno la maggior parte di quelli che sbagliano: disattenzione e avventatezza. Prendersi un secondo in più per respirare spesso ha un effetto rilassante ed aiuta la concentrazione tamponando gli effetti negativi dello stress mentre è difficile che distragga i giocatori precipitandoli in uno stato meditativo. Osservate con attenzione il linguaggio del corpo ed i comportamenti di Insigne durante questa fase e troverete qualche risposta.

La gestione del momento successivo all’errore: i fallimenti preludono ad ulteriori fallimenti? La risposta di Jordet, basata su evidenze statistiche, è si! Sostenuto dagli studi di psicologia sociale che rivelano come gli eventi negativi influenzino negativamente l’individuo molto più di quanto quelli positivi lo condizionino positivamente, lo studioso arriva alla conclusione che i rigori sono il distillato di questo concetto: nella maggior parte dei casi a fare la differenza non è tanto il modo giusto di affrontarli ma quello sbagliato! E l’errore dal dischetto ha una correlazione diretta con la prestazione successiva del giocatore che ha sbagliato. Avere una correlazione con la prestazione non significa “causare” la sconfitta ma, sono certo che al Napoli lo staff di Spalletti ci stia già lavorando, avere una strategia da mettere in atto in caso di ripetuti errori. Occorre fare qualcosa per prevenire futuri errori e forse l’opposto di ciò che è stato fatto finora. Non occorre rimuovere il problema (sebbene nella comunicazione all’esterno è opportuno buttare acqua sul fuoco) ma affrontarlo di petto.

La teoria della “gestione degli errori”, in tal caso, si basa su un paradigma fondamentale: chi ha fatto l’errore deve accettarlo perché nessuno sbaglia di proposito. E l’errore nella nostra società è forse l’ultimo tabù rimasto: siamo pronti a confessare tutto fuorché d’aver sbagliato.

Non si può non sbagliare ma occorre prepararsi all’errore.

Al prossimo rigore… realizzato di Insigne!

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